1. AIUTO INASPETTATO

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ALEX

1.

"Alexander. Mi chiamo Alexander."
Avevo continuato a ripeterlo a me stesso negli ultimi due giorni, da quando mi avevano preso dall'ospedale e strappato da mia madre. Ricordavo ogni secondo, ogni lacrima scesa, ogni parola, ma sapevo che era la cosa migliore. Avevo visto mio padre morire e non potevo sopportare di vederlo accadere anche a mia madre. E oltre tutto, avevo scoperto di avere un fratello, e questo mi fece pensare al nostro primo incontro.

Il risveglio

Cominciai a dimenarmi, non volevo stare legato.
"Perchè ero legato?" pensai.
Chi erano quelle persone e dove mi trovavo? Cosa mi era successo? Non capivo più niente. Mi faceva male terribilmente la testa.
<Ciao Alex. Tranquillo, ti abbiamo legato solo per non farti dimenare, per evitare che ti facessi del male.> disse l'uomo che si trovava al mio fianco. Non capivo come mai mi trovavo lì in quello stato. Dovevo avere delle risposte, quindi, mi calmai. Il tizio prese una una piccola torcia e si avvicinò.
<Che fai?> gli chiesi allarmato.

<Controllo solo se stai bene.>
Mi aprì gli occhi e mi passò l'oggetto davanti, facendo lo stesso con l'altro occhio.
<Ecco. Così va meglio.>
Allontanò la pila e la spense mettendosela nel taschino del camice.
<

Ricordicosa ti è successo?> mi domandò con estrema calma.
<No...>dissi, cercando di schiarirmi le idee.
La testa cominciò a bruciarmi, come se il cervello andasse a fuoco ecercasse di uscire fuori dal mio cranio.
<Calma!Non muoverti!> esclamò il ragazzo, prendendo una siringa piena di un liquido giallo.
<NO!>urlai, dimenandomi dal dolore e cercando di non farmi iniettare quel medicinale.
<Non preoccuparti.> rispose, bloccandomi il braccio e facendo entrare l'ago nella mia carne.
Dopo che la siringa si svuotò, me la sfilò e la buttò nel cestino, che si trovava di fianco al mio lettino.
<Cosa mi hai fatto?> gli chiesi.
<Niente. Riposati. Ci vediamo dopo.>
Di colpo tutto si offuscò, chiusi gli occhi cercando di mettere a fuoco ma non riuscii più ad aprirli. Tutti i miei sensi si stavano indebolendo, fino a quando non riuscii nè a vedere e nè a sentire nulla.
Cominciai a vedere delle immagini passarmi davanti agli occhi.
L'ospedale.
Laquarantena.
Il virus.
Il tradimento di Federica.
Il sindaco.
La morte di mio padre.
Stavo rivivendo tutto quello che avevo passato. Stavo... ricordando tutto quello che avevo vissuto.
Ora...ricordavo.
Spalancai gli occhi. Vidi che alla mia sinistra c'era un dottore che stava prendendo appunti. Ai piedi del mio letto una dottoressa che stava leggendo un documento e infine, una guardia era posizionata di fianco alla porta della camera.
Notai che non ero più legato.
"Bene."pensai.
Alzai lo sguardo e notai che la dottoressa, che si trovava dinanzi a me, mi fissava allarmata. Spaventata cominciò ad urlare.
Addosso avevo una specie di tunica bianca, come se fossi un paziente di quel posto, e sul braccio tenevo un braccialetto con scritto il mio nome: esclamai tra me e me.
Infuriandomi ancora di più, mi alzai dal letto con un balzo e presi la testa del dottore, che si trovava al mio fianco, sbattendola nello schermo del monitor, facendolo perdere i sensi. Mi voltai e con mia grande sorpresa, la scienziata impugnò una pistola, ma prima che premesseil grilletto mi avvicinai, posizionandomi alle sue spalle. Con una mano gli bloccai il braccio, dove aveva l'arma e con l'altra gli afferrai il collo, così, cominciai a portargli la pistola vicino al cranio. La donna urlava, piangeva, cercava di ribellarsi, ma quando l'arma arrivò alla sua tempia e premetti il grilletto, il suo corpo s'immobilizzò. Lasciai la presa e la carcassa di quella donna cadde a terra.
All'improvviso, mi voltai, il soldato che si trovava a guardia della stanza si avvicinò di soppiatto e mi colpì in pieno viso facendomi cadere a terra. Lui mi prese e mi bloccò.
<Cosa sta succedendo?> domandò il ragazzo che prima mi aveva addormentato. Guardò nella stanza e vide il corpo senza vita della dottoressa e del dottore svenuto a terra.
<Ah, Alexander.> disse sospirando. <Lascialo.>
<Va bene, signore.> rispose il soldato.
Mi liberò dalla presa lasciando la stanza.
<Parliamo un po'.>
Mi fece segno di sedermi sulla sedia che si trovava di fianco alla porta. Non lo ascoltai e rimasi in piedi dov'ero.
<Ok.> rispose rassegnato.
<Cosa vuoi da me?> gli domandai.
<Dirti la verità.>
<E sarebbe?>
<Non sei infetto. Il sindaco ti ha mentito.>
<Bene.>dissi.
Il ragazzo cominciò ad avvicinarsi. Non sapevo cosa volesse fare, quindi, indietreggiai.
<Calma non ti farò del male. Io sono Nicolas Evangelista.> esclamò.
<Evangelista...>sussurrai.
Era il bastardo che aveva dato vita a tutto questo.
<Si, il proprietario della casa farmaceutica...>
<Avevo capito.> dissi, senza fargli finire la frase. Non m'importava chi fosse, volevo andare via da lì e al più presto.
<Ok...>
<Dov'è Roberto? Il ragazzo che stava con me.> domandai.
<Ricordi allora?>
<Dov'è?> insistendo.
<Il dottore sta bene. Abbiamo dovuto esaminarlo, ben presto vi incontrerete.> disse distogliendo lo sguardo.
<Dove mi trovo?>
<In un posto sicuro.> rispose con calma.
<Posto sicuro? Anche la tua amichetta aveva detto posto sicuro. Non mi basta! Voglio di più!> esclamai arrabbiandomi.
<Hai ragione, ti trovi in una base operativa.>
Quel ragazzo era troppo calmo, non me la contava giusta. Era alto quasi uno e ottanta e in quel corpo non aveva altro che calma?
<Bene. Dov'è mia madre invece?>
<Tua madre... beh, sta bene.> rispose con tono calmo ma con una punta di tristezza. Anche il suo viso era cambiato, cercava di nascondere quello che provava ma non ci stava riuscendo. Perchè aveva l'espressione di una persona che era stata ferita.
<Perchè quella faccia?> gli domandai alla fine.
Rise.
In quel momento, il suo viso cambiò di nuovo, era diventato più duro. Più tagliente. Il suo sguardo invece, si era fatto di fuoco, come se qualcuno gli avesse buttato della benzina e fatta infiammare.
In quell'istante intimoriva.
<Vuoi sapere perchè ho questa espressione?>
Rimasi a guardarlo senza dire una parola.
<Sono frustrato e deluso da Katerina. Non doveva farlo.> rispose.
Rimasi sbalordito, non capivo cosa gli stesse succedendo.
<Fare cosa?>
<Nasconderti. E... non immaginavo che fosse così...>
Tanto che stava fremendo di rabbia, non riusciva a completare la frase. Anch'io stavo per arrabbiarmi, perchè non capivo cosa fosse successo tra di loro. Però, era impossibile che si conoscessero, o era una delle altre cose che non mi aveva detto e che mi aveva nascosto.
<...Lei è dolce, altruista, allegra, nonostante i problemi. Ma mai avrei pensato o detto che fosse una stratega e bugiarda.> esclamò finendo la frase.
<Ora basta! Parlare così di mia madre. Tu non sei nessuno per screditarla in questo modo.>
Abbassò lo sguardo e subito dopo lo rialzò di nuovo, avvicinandosi sempre di più e fermandosi di fronte a me. Mancavano solo un paio di centimetri prima che le nostre facce si toccassero. Riuscivamo a sentire il respiro dell'altro.
<Nessuno? Purtroppo io, non sono nessuno.>
<Perchè, chi sei tu?> gli domandai.
Rimanemmo a fissarci.
<Perchè Alexander, io sono... tuo fratello.> rispose.
La sua rivelazione mi colpì nel petto. Mi sentii come se stessi cadendo nel vuoto.
Lo guardai esterrefatto.
Mi diede un ultimo sguardo e si voltò lasciandomi da solo in quella stanza.

MORTAL VIRUS: LA GENESIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora