PROLOGO: Casa Evangelica, 1996

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<Alex?> Davide Esposito aprì con cautela la porta della sala di pranzo. <Sei qui?>
Per tutta risposta, gli giunse un piccolo verso soffocato. La porta si spalancò, rivelando una sala ampia dall'alto soffitto e un parquet immacolato. Al centro della stanza c'era un tavolo lungo che poteva ospitare ventiquattro persone. A capotavola, giù in fondo alla sala c'era il piccolo Alexander Evangelista.
Girò la testa per guardare Davide, e lui pensò di nuovo a che speciale ragazzo fosse, anche se a cinque anni era difficile considerarlo ancora tale. Era un bambino molto bello, con folti capelli ricci di un biondo scuro e gli occhi erano di un verde straordinariamente luminoso. Un giorno sarebbe diventato un bell'uomo, sempre se fosse riuscito a vivere decentemente per colpa della malattia che lo affliggeva.
Davide varcò la porta. <È da un pò che ti cerco.> disse preoccupato. Il piccolo che dava le spalle a Davide emise un verso soffocato. Una risata, avrebbe detto lui, ma non stava certo ridendo, no?
Davide si avvicinò ancora di più al bambino e si posizionò dinanzi. Quello che vide, per lui, era travolgente.
Alex stava piangendo.
<Ehi funghetto, cos'hai?>
Il piccolo lo guardò. <S... so... sono un mostro!> urlò pieno di tristezza.
<No, non è vero. Tu non sei un mostro, sei... speciale e forte.> rispose Davide accarezzandogli il viso.
<Zio, non... non sono forte. Io... sono debole.>
<No che non lo sei.>
<Basta! Bugiardo!> gridò il piccolo pieno di lacrime.
<Ok piccolo, calmati.>
Lo zio lo guardò e cercò di farlo calmare.
<Lo sai il perchè tuo padre sta poco tempo a casa e lavora sempre, e con lui anche la mamma?>
<No...> rispose incerto, cercando di tranquillizarsi.
<Stanno lavorando per te, per farti alzare da questa sedia e diventare forte.>
<Veramente?>
<Si. I tuoi genitori stanno cercando una cura per te, per il loro ometto, nonchè il mio funghetto.> concluse Davide facendogli un piccolo solletico sulla pancia. Il bambino stava ancora piangendo, ma questa volta non per trostezza ma di felicità.
Davide quando giocava con lui faceva sempre attenzione, ma gli piaceva il sorriso di suo nipote.
<Va bene, ora andiamo a dormire, altrimenti la mamma ci sgrida.> disse lo zio creando facce buffe. <E poi non vogliamo vederla con i capelli tutti arruffati.> concluse, facendo un gesto plateare sulla testa. Il bambino rideva come non mai, così Davide si alzò e lo trasportò fuori al salone, dritto nella sua cameretta.

MORTAL VIRUS: LA GENESIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora