4. DESERTO MALEDETTO

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ALEX

1.

Furono le prime luci violacee del tramonto a svegliarmi. Non ricordavo di essermi mosso nemmeno una volta nel sonno, dopo quella tortura infuocata.
Mi sfregai gli occhi e mi stiracchiai, anche se il corpo era ancora più indolenzito della mattina, il sonno riparatore aveva fatto meraviglie allo spirito.
Mi sentivo rianimato.
Rinvigorito.
Un pò perplesso e intontito da quello che era accaduto, ma comunque rinvigorito.
Ricordai le ultime frasi che dissi prima di svenire e mi si raggelò il cuore. Ero infetto. Avevo il virus. Ero veramente immune ad esso.
"Perchè allora mi hanno tenuto chiuso in quella struttura per due mesi." pensai furioso. Il sindaco allora aveva detto il vero, era solo un vano tentativo di tenermi allo scuro di tutto... di nuovo.
Mi stirai ancora e stavo per fare un lungo sbadiglio, ma, vidi le armi sul muro indietro al bancone. Mi alzai e andai verso quei "gioielli", ma avvicinandomi notai che quelle armi erano...finte. Erano dei giocattoli, delle imitazioni. Rimasi lì a fissare quelle stupide cose di plastica.
Mi infuriai lanciando la cassa vuota del denaro a terra, creando un frastuono incredibile.
Mi allontanai barcollando dal negozio ormai sprofondato nel buio. Mi diressi verso il confine della città, di corsa, finchè dovetti rallentare a un passo più ragionevole.
Il mio corpo non ne poteva più.
A un certo punto, mi fermai, certo che il cuore sarebbe scoppiato fuori dal petto se avessi fatto un altro passo.
Inspirai enormi boccate d'aria secca.
Il tempo non era normale, non capivo perchè stamattina faceva freddo poi, verso il primo pomeriggio si moriva da un umido calore, ed ora, il caldo era diventato molto più secco. Quel posto mi stava scombussolando tutto il mio corpo e specialmente, il mio cervello.
Mi inginocchiai, piantando gli avambracci a un ginocchio, poi chiusi gli occhi per riposarmi finchè non mi sarei calmato, e lì, nella mia mente, giunse un ricordo dell'area che, di cui ne io e ne i miei colleghi sapevamo l'esistenza, poi prima ancora, un sogno che feci dopo la caduta dal secondo piano, arrivando giù al pian terreno dell'ospedale.

L'area sconosciuta

Mi trovai sul letto di casa mia, iniziai a sentire un suono, era la sveglia. Assonnato aprii gli occhi e mi voltai per spegnere quel rumore assordante. Erano le 6.30 in punto.
Stiracchiandomi tirai su, scesi dal letto e mi avviai in cucina, passando per il breve corridoio. Stavo per passare la porta del bagno, quando ad un tratto sentii un sibilo roco proveniente da esso.
"Ehi, c'è qualcuno? Mamma, sei tu?"
Dopo pochi secondi di silenzio, un rumore si fece eco dal bagno. Di colpo un pugno sordo colpì la porta. Io indietreggiai e il mio volto istantaneamente cambiò espressione. Divenne un volto preoccupato misto al curioso.
"Mamma?"
Un nuovo colpo fortissimo fece tremare la porta. Questa volta però, non rimasi impassibile e mi diressi frettolosamente in cucina. Mi avvicinai al cassetto delle posate e presi un coltello da carne. Tornai in corridoio e alzai la voce.
"CHIUNQUE SIA SMETTILA. NON E' DIVERTENTE!"
Silenzio totale.
Dopo pochi secondi che sembravano eterni, la maniglia della porta si mosse, si abbassò lentamente fino a fare "click". La porta si aprì leggermente facendo trapelare uno spiraglio di luce. Indietreggiai di due passi. Per tutta la casa, si udiva solo il cigolio lento della porta. Una mano iniziò ad uscire fuori, poi il braccio...
Istantaneamente lo spettacolo che si presentò era inumano.
La persona che si trovava nel bagno non era mia madre, ma Federica. Era completamente ricoperta di sangue. La sua vestaglia rosa era diventata di colore rosso, il suo volto era contorto, la sua pelle era diventata grigia e la sua guancia destra era in parte lacerata come da un profondo morso. Ero attonito e guardai Federica con la bocca spalancata. Cominciò ad avvicinarsi a passi lenti, strusciando sul pavimento le sue ciabatte. Ero spaventato da quella scena.
Il coltello mi cascò dalle mani. Non ebbi il coraggio di aiutarla. Sapevo anche che non c'era più niente da fare.
Quindi, di scatto mi diressi alla porta di casa, l'aprii e mi buttai subito fuori al pianerottolo. La porta si chiuse alle mie spalle. Respiravo con affanno, non sapevo cosa fare, ero nel panico. Feci alcuni passi in avanti sul mio piano, dopo di che mi girai e guardai la porta di casa mia. Abbassai lo sguardo e mi resi conto di essere in pantofole e con solo il pantalone del pigiama. Un signore stava salendo le scale e si avvicinò. Era vestito di nero, un completo a tre pezzi,poteva avere una cinquantina d'anni. Il suo viso era pulito, nessuna ruga, i suo capelli erano grigi con sfumature di nero e brizzolati. Sembrava autoritario, intimidiva. Il signore mi pose una mano sulla spalla, io lo guardai, non sapevo come reagire a quel gesto.
"La mia ragazza..." iniziai a dire, ma l'uomo non mi fece continuare.
Mi mise una mano sulle labbra e si avvicinò al mio orecchio destro sussurrandomi: "Tutto sta per cambiare".
"Ma che cavolo dite?"
Il signore però si voltò e salendo le scale ridisse le stesse parole.
"Tutto sta per cambiare".
D'un tratto davanti a me la porta di casa mia si aprì e sulla soglia c'era Federica che mi fissava sorridendo. Ebbi la sensazione di svenire, iniziò a girarmi la testa e subito dopo mi ritrovai a terra, fissando le ciabatte della mia ragazza. Non c'è la feci più a tenere gli occhi aperti e svenni.

MORTAL VIRUS: LA GENESIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora