23. Tattoos hold memories

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A volte credo che ci sia qualcosa che non vada in me, qualcosa di rotto. Mentre altre volte mi sento come una qualsiasi adolescente, una ragazza normale e non speciale scrivo assorta con quel pennarello viola, avvolta in una caldissima coperta di lana.

Hanna dietro di me, con un buffa cuffia di seta avvolta attorno ai capelli e l'aria stanca, mi ascolta pazientemente.
Forse non è stata una buona idea venire qui.

"Narsa, cosa ti fa credere di essere diversa dagli altri?" domanda guardandomi in una maniera che mi faceva sentire nuda.

Sorrisi comunque alla sua domanda. Seriamente?
Tutto. Io mi fermai un attimo, cercando le parole non sarò mai come loro. C'è qualcosa in me che non va, ogni volta che penso di stare bene, ecco che rovino tutto. Hanna, l'altra settimana è accaduto qualcosa che mi è piaciuto, però per diverse ragioni non voglio che accada e stasera è riaccaduto e pensavo che mi andasse bene e invece mi ritrovo qui alle tre di notte a casa tua!

Rilessi ciò che avevo appena finito di scrivere e mi accorsi che non aveva senso.
La sbronza non mi era ancora passata del tutto.
Dopo la chiamata con Aaron, Dylan mi aveva riaccompagnato a casa ma a letto non ero riuscita a chiudere occhio e così mi calai dalla finestra verso la casa della mia psicologa. Ora che ci penso, uscire per le cupe strade di Chicago alle 3 di notte non è stata la migliore delle idee che potesse venirmi, ma il mio primo pensiero fu quello di andare da lei. Non glielo avrei mai ammesso, ma la sua quiete e capacità di non giudicarmi mai, mi mettevano a mio agio.

"Narsa" la mia psicologa mi richiamò e io lentamente mi girai, avvicinandomi a lei e finendo con il sedermi sul suo soffice divano. Attorno a noi giacevano fogli scarabocchiati da me.

"Vivi convinta di non meritare di essere felice, ma non è così. Questa convinzione ti sta distruggendo e non fa altro che favorire queste situazioni. Da una parte muori dalla voglia di assecondare il tuo istinto, quello che sai ti potrebbe rendere felice, e dall'altra credi che mantenendo un profilo basso e schematico nulla ti possa ferire. Devi smontare questo teatrino, Narsa, solo così potrai essere felice"

Si girò maggiormente verso di me, guardandomi come se non fossi una sua paziente, ma semplicemente io.
"Devi darti una possibilità, una possibilità per stare bene. Però solo tu puoi, se non vuoi dire a nessuno cosa ti è accaduto, aiutarti"

Pensavo che i miei genitori ti pagassero perché lo facessi tu la provocai con l'intento di infastidirla e distogliere l'attenzione da quel punto, ma Hanna non c'era mai cascata.

"Narsa solo tu sei la chiave della tua felicità, dipende tutto da te, certo, io posso aiutarti, ma dipende da te, non da me, non da Dylan, dalla tua famiglia o dal ragazzo che ti sta facendo perdere la testa. Devi essere per te stessa il tuo principe azzurro"

Alzai gli occhi alle sue insinuazioni.
Io non sto perdendo la testa proprio per nessuno

"Certo, e come spieghi quel succhiotto sul collo" assottigliò gli occhi, indicando un punto sotto l'orecchio.

Cazzo. Allarmata, toccai quel punto e solo quando vidi la sua espressione divertita sul viso, capì che mi stava prendendo in giro.

"Non sei l'unica a giocare sporco qui" scherzò facendomi l'occhiolino.
"Forza, ti accompagno a casa e se nel tragitto mi racconti di più su questo playboy, potrei evitare di raccontare ai tuoi genitori di questa scappatella"

"A proposti, come diavolo ti è venuto in mente di scendere da sola a quest'ora e per giunta a piedi! E se ti fosse accaduto qualcosa nel tragitto, eh? In 15 minuti di strada posso succedere tante cose, Narsa" mi rimproverò immediatamente rendendosi conto di ciò che avevo fatto. Solo quanto vide il sorrisetto impertinente sul mio viso, si limitò ad afferrare le chiavi dell'auto.

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