26. The night we met

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Era strano pensare che fino a qualche giorno fa ero sdraiata sul mio letto a rimuginare su una sola cosa, qualcosa che adesso mi sembrava così banale e superficiale. Eppure era una piccola fantasia che mi scaldava il cuore e mi permetteva di essere una qualsiasi sedicenne in preda all'entusiasmo, almeno per un po'.
Ma rimaneva un sogno che a quelli come me non era concesso.
Io, Aaron, la palestra addobbata con luci calde e un continuo assordante sottofondo di musica commerciale.
Era strano pensare che avevo addirittura accettato di farmi accompagnare da Odeya per i negozi alla ricerca dell'abito perfetto, dopo il suo messaggio in cui me lo proponeva.
Era strano pensare che sorridevo timidamente rimuginando sulla domanda di Aaron, in cui mi chiedeva se io lo preferissi con la cravatta o papillon.
Ero strano pensare che fino a pochissimo fa ero felice.

Ma ora tutto era cambiato -io era cambiata- e il fatto che a farlo era stato un evento del tutto inaspettato mi frustava e mi apriva gli occhi su quanto la vita fosse imprevedibile.
O forse è solamente la tua punizione, è normale, quelle come te non meritano di essere felici.

Tenevo lo sguardo basso sui miei mocassini lucidi. La mia gonna nera, il blazer e il capellino del medesimo colore erano zuppi d'acqua dalla pioggia.

Lui era morto.

Stritolavo in mano il foglio con il discorso che mi ero preparata, sotto richiesta di sua madre. A quanto pare, ero davvero importante per lui. Non avevo ancora pianto e mi chiedevo quanto il mio corpo avrebbe ancora retto, privato dal cibo da quando mi era arrivata la fatidica notizia di Hanna. Lo sapevo cazzo che qualcosa non quadrava. Lo avevo intuito dal modo in cui l'altro giorno, mi stava attendendo trepidante alla porta del suo studio, un fazzoletto sporco in mano, il mascara sbavato sulle guance e un docile sollecitamente a mantenere la calma.

Ci misi qualche secondo a capacitarmi del fatto che Aaron Carter era improvvisamente apparso e che si stava dirigendo a veloci falcate verso di me. Era sicuramente passato a casa prima di fiondarsi qui, il suo zaino giaceva sotto la vecchia quercia a cui avevano attaccato le sue foto. Indossava un completo nero, la camicia sotto era stropicciata e i bottoni erano stati abbottonati nella maniera scorretta, dimenticandone uno; la cravatta era anch'essa allentata. Solitamente avrei sorriso per la bontà nel venire qui il prima possibile, non curandosi nemmeno del suo aspetto, ma in quella gelida mattinata, volevo semplicemente sparire. Era il secondo lutto della mia vita e avevo ancora sedici anni.
Quanta altra gente sarebbe morta davanti ai miei occhi?

Rimase in silenzio in piedi accanto a me, mentre tutti gli altri erano seduti sulle panche alle nostre spalle. Lui era un amante della natura e non metteva piede in una chiesa da quando aveva memoria, quindi i suoi genitori ritennero più appropriato svolgere il suo funerale qui, sul burrone che aveva strappato prematuramente la sua complicata vita, senza la presenza di figure religiose ma solo delle persone che lo hanno amato e soffrono la sua morte.

"Grazie di essere venuto, non pensavo avresti visto il mio messaggio" mormorò Anthony alzandosi dal banco di legno su cui era seduto. "Pensavo che le avrebbe fatto stare meglio avere anche te affianco"

"Non dirlo nemmeno per scherzo, se mi aveste avvertito già da qualche giorno, ci sarei stato" disse Aaron e io sentì il suo sguardo posarsi sui miei occhi assenti.

"Nar, sicura di non volerti sedere?" chiese dolcemente Dylan e io non trovai nemmeno la forza di scuotere la testa. Sarei svenuta a breve e speravo che, quando mi sarei svegliata, tutto questo si sarebbe rivelato solo un dannato incubo, che la realtà dove lui è ancora qui a bisbigliarmi all'orecchio quanto i lupi siano grandiosi, fosse ancora possibile.

Ma purtroppo era troppo tardi, perché il mio Oliver non c'era più.

Lo conoscevo da anni. Entrambi eravamo seguiti presso la stessa clinica di Hanna, lui però la frequentava da più anni. Seppur fosse più piccolo di un anno, al mio debutto come stramba muta, Oliver aveva tentato subito di mettermi a mio agio, o almeno, quando era nelle condizione di farlo. Era affetto dalla rara sindrome clinica da lupo mannaro, quindi per la maggior parte del tempo era convinto di essere un maledetto animale, che quell'invitante satellite situato in cielo lo stesso attendendo. La licantropia clinica è una condizione mentale piuttosto difficile e di solito mette in ginocchio chiunque ne soffri: Oliver non è stato da meno.

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