CAPITOLO XIV

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GLI USURAI

«Serve una mano?» chiese una voce impassibile, l’uomo seduto alla scrivania aveva preso parola e si era alzato educatamente, per poi avvicinarsi a Vittorio e Tommaso

«Si, forse» disse quest’ultimo.

Vittorio lo fissò: era alto e robusto, e sembrava avere la stessa età di Arturo, aveva dei capelli castani, corti e ricci, e due occhi color carbone
«Giovanni, gentilmente prendimi le chiavi» disse voltandosi verso il divanetto, lì era seduto un giovane snello dai capelli molto scuri e dagli occhi molto chiari
«Si subito» disse ubbidiente poggiando il libro che stava leggendo, si avvicinò alla scrivania e prese da un cassetto un mazzo di chiavi

«Perdonate la nostra intrusione, ma è stato Ferretti a chiuderci qui» disse Vittorio cercando di scusarsi
«Nessuna intrusione, anzi, lui si è proprio dimenticato che noi due eravamo in questa stanza» disse l’uomo. Colui che si chiamava Giovanni gli porse le chiavi
«Voi siete?» chiese Tommaso timidamente
«Io sono Giovanni» disse il moro inchinandosi «E voi siete…» disse Vittorio rivolgendosi all’altra persona

«Jacopo» disse, Vittorio e Tommaso si presentarono.
Jacopo strinse in mano il mazzo e girò nella toppa una chiave piccola e argentata, e la porta si aprì

«Vi ringraziamo molto» disse Tommaso «Oh, ma non c’è di che» disse Giovanni.


Usciti dalla stanza si ritrovarono i dottori che parlavano

«Jacopo? Giovanni? Ma che fine avevate fatto?» chiese improvvisamente Arturo «Dove credi che eravamo? Nello studio, sei fortunato che ho le chiavi» rispose saccente Jacopo, e sventolò il mazzo di chiavi luccicanti davanti al suo naso mentre si avvicinava a lui insieme a Giovanni, Arturo si morse il labbro imbarazzato

«Allora? Vi siete decisi a parlare?» intervenne Girolamo, Arturo gli gettò un occhiataccia come per dire “se parli ancora ti taglio la lingua”

«Si, cosa vi ha detto mia ha moglie?» chiese Vittorio incrociando le braccia «Che è stato un vostro amico a darvi quegli oggetti» rispose Arturo indicando gli oggetti sul tavolo
«È così?» chiese Vanessa avvicinandosi al ragazzo
«Si, è andata proprio così» confermò
«E chi è questo vostro amico?» insistette «Perché vi dovrebbe interessare?» chiese Vittorio

«Non credo che il nome abbia importanza» aggiunse Tommaso
«È solo per sapere» disse Arturo
«Non vi dovrebbe importare» disse Vittorio
«E perché mai?» chiese Vanessa
«Perché conoscendovi vorrete sicuramente fargli giusto due domande o roba del genere, un po’ come avete fatto con noi» rispose schietto Tommaso.


Prima che Arturo potesse parlare, Ginevra si avvicinò al marito

«Vedo che siete molto interessati a sapere tutte queste cose, non è così?» chiese inclinando la testa
«Bene, allora vi dico questo» si avvicinò lentamente a Arturo, si mise di fronte a lui e gli puntò un piccolo pugnale

«Ci fate così tante domande solo perché vi abbiamo riportato qualcosa che vi apparteneva, e poi cosa succede? Che scopriamo che nascondete e catturate persone solo per qualcosa che potrebbero non aver commesso. Oppure ci fate del male» mentre parlava, la gelida punta della lama toccava il mento di Arturo, il quale guardò la ragazza serio e con impassibilità

«Mi sembra strano che nelle celle non abbiamo trovato nemmeno un usuraio, eppure il foglio diceva che ce n’erano» proseguì

«Se proprio volete saperlo sono scappati» intervenne Nano
«Non è possibile» disse Vittorio
«Signore è la verità» ammise Tommaso «Ora ti ci metti pure tu?» chiese voltandosi verso di lui

«Lei non ci ha fatto caso, ma ho notato che sopra ogni cella c’era scritto in latino il nome del peccato commesso, e dove dovevano esserci degli usurai non c’era nulla» spiegò

«E da quando in qua sei in grado di leggere il latino?» chiese Vanessa «A parte sono affari miei, poi a te cosa dovrebbe importare?» disse lui incrociando le braccia.


Ginevra smise di puntare il pugnale

«Questi usurai hanno a che fare con varie famiglie, tra cui le vostre, quelle che erano coinvolte nella congiura, e altre» spiegò Nano facendo un passo avanti
«Cosa? E a quale scopo?» chiese Vittorio confuso
«Gli usurai che sono scappati dalle celle sono nascosti a Firenze, e il loro capo si nasconde tra noi fiorentini» spiegò Arturo

«In parole povere neanche noi sappiamo chi sia a capo di questi usurai» sintetizzò Girolamo, i ragazzi rimasero in silenzio

«Ora andatevene» ordinò Arturo indicando la porta, Jacopo annuì, prima che se ne andassero, Arturo li richiamò «Se direte a qualcuno quello che avete fatto e visto oggi, sapete già che fine farete»


Vittorio prese per mano Ginevra e tornarono a casa avvolti nel buio e nell’oscurità, mentre la luna illuminava le strade di Firenze per indicare il loro cammino.

Le strade erano completamente vuote, e un silenzio incombeva, forse anche troppo silenziosa, era troppo preoccupante, come se da un momento all’altro potesse spuntare qualcosa o qualcuno, come un animale o un ladro.


I loro passi rimbombavano sulla ghiaia, dove di giorno andavano cavalli che trainavano carri, solitamente i bambini si rincorrevano, e dove in genere passavano i contadini e i nobili.

Un Criminale Nascosto A Firenze - Volume 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora