Prologo

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Tutto di quel breve viaggio era stato diverso da come l'aveva immaginato. Erano così lontani dalla sua casa che non sapeva più nemmeno come descrivere quella distanza infinita.

Ora si erano fermati – probabilmente – ma erano davvero giunti a destinazione? Già due volte si erano fermati solo per ripartire su un altro di quegli strani carri volanti.

Il portellone si aprì con uno scatto metallico, barcollò un momento e poi si inclinò gradualmente fino a toccare il pavimento dell'hangar.

Spartakan scese per primo. Si guardò intorno, ma la penombra rendeva difficile capire cosa ci fosse in lontananza. Solo poche luci soffuse rischiaravano l'ambiente, simili a stelle in un cielo notturno.

Ad accogliere lui e gli altri passeggeri questa volta c'erano numerose persone: una donna in prima fila, e subito dietro altri individui di varie specie schierati in una formazione ordinata. Se ne stavano relativamente lontani, come se temessero la luce che proveniva dall'interno dell'astronave, e per questo Spartakan non riusciva a distinguerli chiaramente. L'unica cosa che risaltava erano i loro occhi scintillanti: non erano occhi di guerrieri, e nemmeno occhi di civili. Erano qualcos'altro. Qualcosa di più vicino a un animale che una persona.

Dopo il robusto orco dalla pelle rossa, fu il turno degli dei di scendere dal veicolo. C'erano quelli di Artia: Tezcatlipoca, Huitzilopochtli, Nergal ed Enki; ma anche alcune delle divinità di Meridia: Horus, Maahes e Susanoo.

La donna in testa si fece avanti. Era una sauriana dalla carnagione molto pallida e i capelli mossi.

«Ben arrivati» esordì con un sorriso. Sembrava sincero, ma i denti particolarmente aguzzi lo rendevano anche minaccioso. «Vedo che avete portato i Pilastri» proseguì osservando le altre persone che stavano scendendo dall'astronave. Anche loro, come Spartakan, avevano l'aria spaesata.

«Salve, Tlahuelpuchi[1]» rispose Tezcatlipoca in tono misurato. «Loro sono il Pilastro del Coraggio» iniziò accennando all'anziano anfibiano, «il Pilastro della Giustizia» proseguì riferendosi alla demone con un bambino piccolo in braccio, «il Pilastro dell'Ingegno» un treant, «e il Pilastro della Natura» una mezzosangue umana-nana.

La sauriana continuò a sorridere. «Se non ricordo male, nella lista che ci avete fornito ce n'erano anche altri.» Si voltò. «Sbaglio?»

Uno dei suoi accompagnatori si staccò dalla formazione e fece qualche passo avanti. Anche lui era un sauriano, e mentre la donna la si poteva definire "pallida", per lui era necessario utilizzare l'aggettivo "cadaverico".

«In base all'ultimo aggiornamento ricevuto, ad Artia hanno identificato i Pilastri dell'Armonia, del Coraggio, della Libertà e della Vita. A Meridia hanno identificato i Pilastri della Fermezza, della Giustizia, dell'Ingegno, della Natura e della Temperanza. Mancano quindi il Pilastro dell'Armonia, quello della Fermezza, della Libertà, della Temperanza e della Vita. A questi si aggiungono i Pilastri la cui identità non è nota.»

Per ogni Pilastro mancante, la sauriana fece comparire un piccolo globo di sangue sul palmo della mano. Terminata la lista, serrò il pugno, e le cinque sfere rosse tornarono nel suo corpo.

«Immagino abbiate una spiegazione per la loro assenza.»

Per un momento nessuna divinità ebbe il coraggio di rispondere.

«Il Pilastro della Vita è stato ucciso e il Pilastro della Libertà è fuggito» ammise Horus. «Il Pilastro dell'Armonia, quello della Fermezza e quello della Temperanza sono... stati catturati. Dal nemico. Ma li riprenderemo, abbiamo solo bisogno di un piccolo aiuto per riorganizzarci.»

Tlahuelpuchi rimase in silenzio per qualche istante, quasi stesse gustando quell'atmosfera tesa. «Potrete discutere di questo con Lilith[2]. Piuttosto, lui chi è?» I suoi lucenti occhi verdi adesso erano fissi su Spartakan.

Questa volta fu Huitzilopochtli a parlare: «Lui è un figlio dell'inferno.»

Lo sguardo della sauriana si spostò sul dio del sole. «E quando pensavate di dirci che avete un figlio dell'inferno?»

«Il momento giusto.»

Tlahuelpuchi allargò il suo sorriso, ma questo non lo rese più amichevole, anzi. «In tal caso, ricordatevi di dirlo anche a Lilith mentre discuterete i nuovi termini dell'accordo.»



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[1] Le Tlahuelpuchi sono streghe/vampiro del folklore degli indigeni del Messico.

[2] Lilith è un demone delle religioni mesopotamiche.

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