22. I futuri regnanti di Raémia

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Nelle strade di Shakdàn regnava il caos. La gente fuggiva in preda al panico per allontanarsi dai giganti, ma i continui crolli e la calca disperata non facevano che aumentare il numero di vittime. Le guardie rimaste stavano cercando di gestire la situazione, cercando almeno di indirizzare i fuggitivi lontano dal pericolo.

Havard percepiva tutte quelle morti come una sua responsabilità: gli dei avevano scatenato la loro ira sulla città proprio per punire quelli che si erano schierati con il figlio di Hel. Ma non era il momento di farsi prendere dalla rabbia o dalla paura. Doveva restare freddo, lucido.

Anche se perdeva quella battaglia, anche se morivano decine di migliaia di innocenti, poteva ancora sconfiggere gli dei e mantenere il suo posto alla guida del mondo.

Il primo passo per raggiungere il suo obiettivo era capire a chi andava la lealtà di Spartakan: se il rosso si fosse unito ai ribelli, sarebbe stata una prova che gli dei avevano perso la loro credibilità; se invece fosse rimasto fedele ai suoi vecchi padroni, il figlio di Hel avrebbe dovuto trovare il modo di eliminarlo al più presto.

«Hai messo in fuga gli dei una volta, ma non penso che potrai vincere» affermò Spartakan. Allargò le braccia. «Stai combattendo contro gli dei! Lo vedi cosa possono fare!» Scosse il capo. «Ma la verità è che non voglio che vincano. Non voglio che continuino a fare... questo. Voglio proteggere le persone. Dagli dei, e da chiunque si comporti come loro.»

Quelle parole fecero spuntare un sorriso compiaciuto sul volto di Tenko, l'espressione di Havard invece rimase austera.

Il figlio di Hel poggiò il suo bastone d'ossa a terra. «In tal caso sbrigati a raggiungere gli altri: avrai bisogno di un draghide per venire con noi. A meno che non abbiate quel vostro carro volante.»

«Ce l'abbiamo» confermò Sigurd.

«Bene, allora seguite gli altri.» Il pallido evocò il suo drago d'ossa. Una fiera possente, minacciosa e puzzolente, esattamente come Tenko la ricordava.

Havard salì in groppa al suo spirito guida e spiccò il volo, unendosi ai ribelli in fuga.

«Ehi, bella risposta» commentò Tenko.

«Ho detto quello che pensavo» ribadì Spartakan.

Lunaria intanto sollevò il nasino e drizzò la schiena, pronta a prendersi tutto il merito di quanto successo.

Poco dopo l'astronave richiamata da Sigurd li raggiunse con un leggero sbuffo d'aria. Il portellone si aprì davanti a loro e i quattro salirono a bordo.

Mentre il velivolo riprendeva quota, Tenko si avvicinò a uno dei finestrini. Dall'alto i segni della devastazione erano ancora più evidenti e drammatici: i giganti avevano distrutto decine di edifici e schiacciato indiscriminatamente chiunque capitasse loro a tiro. Molti si stavano riversando fuori dalle mura, e poi continuavano a correre senza una meta precisa sperando di scampare al massacro.

Tenko tirò un pugno al vetro: gli dei avrebbero pagato anche per quello. Non aveva intenzione di perdonarli prima, e sperava che adesso anche per tutti gli altri fosse chiaro che non c'era alternativa al loro totale annientamento.

Sigurd non sapeva dove fossero diretti i rappresentanti, quindi si limitò a seguire il gruppo di cavalcature volanti a cui si era aggregato Havard. C'erano draghi, viverne, grifoni, libellule giganti, e addirittura delle balene celesti, imponenti animali simili a cetacei che sembravano nuotare nel cielo, capaci di trasportare addirittura un treant.

L'Eredità degli AstraliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora