23. Guerra diplomatica

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Prima di cadere sotto il controllo di Havard, Shakdàn era stata uno dei più importanti centri religiosi delle terre degli orchi. La sua posizione, al centro del continente settentrionale, la rendeva un luogo ideale in cui aggregarsi, e proprio per questo ogni dio aveva fatto erigere un proprio tempio nella città alta. Il figlio di Hel aveva ordinato la rimozione di tutti i simboli religiosi, ma ora le cose erano cambiate nuovamente: le decorazioni per il Summit dei Sette erano state rimosse, sostituite da altri ornamenti realizzati per celebrare il ritorno degli dei. O meglio: di alcuni dei. Quelli che non erano scesi a patti con i mortali, che non si erano contaminati di una simile bassezza, e che per questo erano gli unici meritevoli di continuare a regnare sul mondo intero. Erano questi i nuovi sermoni che i rappresentanti del Clero professavano in tutte le piazze, e il popolo stava già cominciando ad abituarsi a quella nuova normalità. Non che avesse scelta: qualsiasi ulteriore atto di ribellione sarebbe stato punito con la morte, come già ampiamente dimostrato durante l'attacco dei giganti.

Era proprio in quel clima di surreale quotidianità che un messaggero correva verso la città alta, verso i palazzi più raffinati dove si erano reinsediati gli alti sacerdoti.

Giunto a destinazione, il giovane orco non poté non notare le pile di oro e oggetti preziosi che erano stati ammassati in quelle lussuose dimore: si trattava di beni requisiti ai ribelli, nonché un premio concesso dagli dei a quelli che erano rimasti loro fedeli.

«Porto notizie urgenti, padre» annunciò il messaggero in tono rispettoso.

«Dimmi, figliolo» lo esortò l'alto sacerdote, un orco di mezza età che per nulla al mondo avrebbe rinnegato gli dei.

Il giovane riferì il suo messaggio, che venne accolto dall'ecclesiastico con profondo sconcerto. «Sparisci!» tuonò. «Devo informare immediatamente gli dei!»

Il messaggero sgusciò via intimorito, a quel punto l'alto sacerdote si raccolse in preghiera per informare gli dei di quanto aveva appena scoperto. Le divinità lo ascoltarono con superiorità, e poi lo liquidarono con disgusto appena scoprirono cosa avevano fatto i ribelli.

«Come osano?! Come osano?!» ripeté Horus, il dio falco del sole. «Come osano diffondere un mandato d'arresto nei nostri confronti?!»

«Sono degli illusi se pensano che anche uno solo dei nostri fedeli li informerà della nostra posizione!» esclamò Nergal, dio della morte. «Ora che abbiamo ripreso Shakdàn, dovremmo mettere delle taglie sulle loro teste! Così capiranno chi è che comanda davvero!»

«No, non possiamo ancora rischiare una mossa simile» ribatté il dio delle tempeste, Susanoo. «Devono essere i nostri inquisitori a portarci le loro teste. Mettere una taglia su di loro potrebbe farci apparire a corto di uomini, e se nessuno riuscisse a riscuoterla sarebbe un'onta ancora maggiore.»

«Per ora siamo al sicuro qui» affermò Enki, dio del mare. «Non dobbiamo dare peso a queste voci. Lasciamo che i nostri giganti riprendano le altre città.»

«No! Non possiamo rimanere nascosti! Non più!» intervenne Huitzilopochtli, il dio del sole e della guerra. «Se lo facessimo, potrebbero spargere la voce che abbiamo paura di loro! Dobbiamo mostrarci apertamente, così che tutti capiscano che i ribelli non hanno alcun potere!»

«Sono d'accordo, ma dobbiamo fare molta attenzione» sottolineò Tezcatlipoca, dio della notte. «I vampiri se ne sono andati con la loro astronave, quindi non abbiamo modo di lasciare il pianeta questa volta.»

«Hai forse paura dei ribelli?!» lo schernì Maahes, il dio della guerra dalla testa di leone.

«Se l'ultima volta non avessimo avuto un'astronave a disposizione, forse ora non saremmo qui» gli fece notare Tezcatlipoca.

L'Eredità degli AstraliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora