Il piano di fuga

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La porta si aprì e quella piccola, stretta, buia e fredda cella fatta tutta di pietra si illuminò dal bagliore delle fiaccole accese lungo i corridoi della prigione. Una sola sagoma nera, la quale il ragazzo non riusciva a distinguere, copriva la luce delle fiaccole.

Mentre il ragazzo teneva la mano destra davanti ai suoi occhi, poco abituati alla luce ormai, visto che era da due giorni che stava al buio giorno e notte, il figuro, che sicuramente doveva essere un secondino, gli buttò una ciotola metallica a terra facendo anche cadere un po' di sbobba dai bordi. Subito dopo se ne andò e chiuse la porta della cella a più mandate.

Era seduto a terra e la sbobba era a pochi passi da lui. Sapeva che appena si sarebbe mosso, il corpo e le gambe, già piene di vecchie cicatrici, ora che erano piene di nuovi lividi e contusioni, gli avrebbero fatto un male da fargli desiderare la morte. Però doveva mangiare, altrimenti gliela avrebbe data vinta a quelli là, quelli che lo avevano ridotto così.

Adagio, si mise a carponi. Le ginocchia gli facevano un male del diavolo, ma i palmi delle mani ancora erano in grado di sostenere il suo peso. Si avvicinò lentamente alla ciotola, poi si sedette appoggiandosi al muro della cella e, non avendo un cucchiaio a disposizione, mangiò la sbobba bevendone dal bordo della scodella di ferro. Il sapore era pessimo, ma ormai il ragazzo aveva smesso da tempo di essere selettivo, in fatto di cibo almeno.

Cinque minuti ed ebbe finito di mangiare tutto, anche di leccarsi la ciotola. In quel momento, però, dall'esterno della sua cella sentì del vociare. Riconosceva quelle voci. Erano di quei figli di puttana che lo avevano ridotto così. Il giorno prima erano stati per ore a torturarlo e probabilmente adesso gliene sarebbero toccate altre. Ma il ragazzo non avrebbe ceduto. No, mai. Preferiva morire piuttosto.

Udì il chiavistello della porta della sua cella girare. Gli uomini entrarono nella cella e risero del ragazzo non appena lo videro buttato lì a terra come un animale.

«Guardate Amadeus.» Disse uno di loro, colui che il ragazzo sembrava aver capito essere il capo delle guardie carcerarie. «L'infame ha gradito la cena.»

«Allora dobbiamo complimentarci con Noon, ne sarà felice, Digoseth.»

Ed entrambi ripresero a ridere.

L'uomo, quello che pareva chiamarsi Digoseth, fece cenno ad una guardia di alzare il ragazzo in piedi, poi si rivolse a lui: «Vieni, infame, andiamo a divertirci un po'.»

E risero ancora, continuando a ridere lungo tutto il tragitto che portava nella sala delle torture.

Ad attenderli nella stanza c'erano altre guardie.

Il ragazzo fu incatenato con polsiere e cavigliere di ferro legato a degli anelli sul muro. Davanti a sé c'era uno specchio sporco e arrugginito. L'immagine che vedeva gli mostrava il suo aspetto. Aveva del sangue rappreso sparso qua e là per il corpo. Perfino tra i capelli castani scuri aveva del sangue incrostato, sicuramente per via delle percosse che aveva subito il giorno prima da quei bastardi. Anche i suoi occhi nocciola portavano segni di tortura: uno era gonfio e l'altro aveva un taglio sopra l'arcata sopraccigliare. Per non parlare del torso e delle braccia, che avevano lividi, tagli e abrasioni dappertutto. Solo le gambe non erano visibili, poiché gli avevano lasciato i suoi pantaloni di pelle e stoffa e gli stivali di pelliccia, ma sicuramente erano in uno stato pietoso anche quelle, dato che gli dolevano molto.

L'altro uomo, Amadeus, lo schiaffeggiò e rise di nuovo. Dopodiché gli disse: «Non temere, infame, domani mattina vedrai la luce del sole un'altra volta, solo che per te sarà l'ultima. E allora ti pentirai di aver ucciso mio figlio.»

I due uomini e le guardie risero ancora.

Amadeus poi gli parlò di nuovo: «Dicci il tuo nome, infame, così potremo presentarti a tutta la brava gente di Almoordash domani all'esecuzione. Altrimenti ti chiameremo "infame", così ognuno si renderà bene l'idea dell'essere spregevole che sei e fine della storia.»

La Resistenza dell'Ovest - La minaccia del RadelgardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora