12. Affetto

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Sentii bussare alla porta di camera mia.

«Rose? Tesoro, va tutto bene?» disse zia Iris, con voce dolce e inquieta. «Dimmi qualcosa, sono preoccupata».

Aprii gli occhi, e sentii le palpebre gonfie e pesanti per il pianto inconsolabile al quale mi ero abbandonata prima di addormentarmi.

Mi resi conto di essere ancora rannicchiata a terra, e che ormai fuori era buio. Volevo alzarmi, prendere il telefono dal comodino e guardare l'ora, ma non riuscii a farlo. La mia mente non era abbastanza forte per spingere il mio corpo ad eseguire gli ordini.

«Rose, ci sei?» disse di nuovo zia Iris, ancora più agitata.

«Zia... Vieni qui» sussurrai con un filo di voce.

Nell'istante in cui le diedi il mio consenso lei aprì di scatto la porta.

Quando mi vide sul pavimento si inginocchiò subito accanto a me, e cercò di aiutarmi a tirarmi su. Ma appena sentii le sue mani tentare di alzarmi di peso, mi rannicchiai di nuovo su me stessa e non riuscii a trattenere la nuova ondata di lacrime, che uscì come un fiume in piena dai miei occhi già irritati dal pianto.

Lei sospirò addolorata, si accucciò su di me e mi strinse in un goffo, ma dolce e sincero abbraccio.

«Tesoro mio, che succede? Riven questa mattina se n'è andato via in fretta e furia, ha detto solo di non venire a disturbarti. Ho bussato alla tua porta per tutto il giorno, anche per il pranzo e per la cena, ma non hai mai risposto. Credevo volessi solo rimanere sola, ma non pensavo di trovarti in questo stato».

Non risposi, perché sapevo che non sarei riuscita a dirle nulla senza lasciarmi travolgere da un mare di emozioni, che mi avrebbe fatta affogare nel mio stesso dolore.

«Hai litigato con Riven? È per questo che stai così male?» mi domandò lei, tentando di indagare sul mio malessere.

Avevo effettivamente avuto una discussione con Riven, ma non era quello il problema. Riven mi aveva sbattuto in faccia quella cruda verità, ma le sue parole non erano altro che l'eco di ciò che già sapevo dentro di me. Ciò che mi aveva fatta crollare in mille pezzi era l'aver realizzato una volta per tutte che quella era la realtà, e che per quanto potessi nasconderla a me stessa, i fatti erano quelli e non sarebbero mai cambiati.

«Rose, per favore, parlami. Non ce la faccio a vederti così» sussurrò dolcemente zia Iris, stringendomi più forte.

Non le dissi nulla, ma allentai la presa sulla foto che tenevo ancora stretta a me, e la lasciai scivolare sul tappeto.

Lei se ne accorse, e la prese in mano. La sentii sospirare rassegnata, e mi accarezzò delicatamente i capelli.

«Ti aiuto ad alzarti, così puoi metterti a letto».

Mi afferrò il braccio, e anche se io facevo resistenza per rimanere a terra e continuavo a piangere, mi alzò di peso.

Passo dopo passo e con fatica riuscì a farmi sedere sul letto, e appena lo toccai mi sdraiai, affondando immediatamente la faccia nel cuscino, che si inzuppò con le mie lacrime incessanti.

Un urlo di sofferenza si elevò dal mio petto in un grido che sembrava non avere fine, soffocato dal morbido cuscino. Lo strinsi forte con le mani, talmente forte che sentii le punte delle dita formicolare, come se quello fosse un appiglio al quale aggrapparmi per non cadere nel vuoto della mia anima lacerata. Sarei mai riuscita a sentirmi di nuovo intera?
Probabilmente no.

Anni e anni di dolore celato e domato, ed era bastata una singola frase a far crollare tutte le mie difese, pazientemente costruite nel corso del tempo.

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