16.

46 4 0
                                    


<<Mi ha chiamato papà>>. Fu questa la maniera in cui Pollux disse a Castor del fatto. A bruciapelo, senza dare il tempo al fratello di prepararsi per la notizia.

<<Cosa?>> Castor, preso in contropiede, sentì girare la testa e si dovette sedere sul letto. Celeste si sedette accanto a lui, passandogli una mano sulla schiena per rassicurarlo e calmare quello stato di agitazione che cominciava a presentarsi.

<<Che ha detto?>> domandò Castor.

<<Ha chiesto se sapessi qualcosa riguardo la tua fuga>>.

<<E tu che hai detto?>>.

<<Che non so nulla>> rispose Pollux convinto della sua decisione di tenere tutto nascosto al padre.

<<Io non ci posso credere>> Castor si alzò di scatto dal letto, lasciando sola Celeste che lo guardava portarsi le mani tra i capelli e iniziare a camminare in giro per la stanza, proprio come faceva il fratello in momenti delicati come questi. All'improvviso sembrava che la febbre gli fosse passata e che fosse pieno di energie.

<<Sta' tranquillo, Castor. Non verrà qui a Parigi, sono stato piuttosto convincente>> sorrise Pollux fiero di se e della sua bugia.

<<Non è questo il punto. Quell'uomo mi perseguita, ci perseguita Pollux>>.

<<E' nostro padre dopotutto...vuole sapere cosa è successo a suo figlio>>.

<<Pollux, non farlo, non lo giustificare. Lui ci ha abbandonato, ci ha fatto passare le pene dell'inferno, quell'uomo non è nostro padre>> disse Castor in uno scatto d'ira, con tutto il fiato che gli era rimasto in corpo.

Poi si avvicinò all'albero di Natale ed iniziò a prenderlo a calci.

<<Fermo!>> urlò Celeste prendendolo per un braccio, ma Castor la spintonò via con una tale violenza che la ragazza cadde a terra, e li rimase, con il volto sconvolto dalla visione del suo amico.

Le palline iniziarono a cadere a terra provocando dei tonfi rumorosi, rompendosi, spaccandosi in più pezzi. Le palline di vetro si scheggiarono, lanciando via pezzetti appuntiti in tutte le direzioni.

Non appena Castor se ne rese conto, si inchinò, ne prese un pezzo e lo strinse nella mano.

<<No!>> urlò Pollux lanciandosi verso di lui. Aveva fatto tanto lavoro in quella camera da quando era arrivato il fratello, aveva buttato via tutte le lamette, rasoi che aveva in giro, costringendosi ad utilizzare quelli dei suoi amici di scuola. Aveva addirittura buttato l'accendino dopo quella sera, smettendo di fumare. Aveva tentato di mettere in sicurezza quella camera per il fratello, e ora tutti i suoi sforzi stavano svanendo.

Pollux aprì la mano di Castor facendo cadere il pezzo di vetro. Il sangue cominciò a sgorgare veloce, la pelle si aprì in due. Pollux andò in bagno di fretta, prese il rotolo di carta igienica. Quando rimise piede in camera notò che Castor si era seduto vicino alla finestra, guardandosi la mano e sorridendo, eppure con delle lacrime agli occhi. Come se fosse stato felice e deluso da quello che aveva appena fatto. Effettivamente, Castor si odiava da morire per quello che faceva. Si odiava da morire quando non lo faceva. Si odiava da morire dopo averlo fatto, ma allo stesso tempo si amava quando lo faceva. Era talmente contraddittorio quel ragionamento che a Castor cominciò a girare di nuovo la testa.

Celeste si precipitò da lui, così come Pollux. Entrambi cominciarono a prendere degli strappi di carta igienica e a tamponare il palmo della mano di Castor. Celeste cominciò a vedere quella mano, quel sangue in maniera appannata. Delle calde lacrime cominciarono ad uscir fuori e a scendere lungo le guance della ragazza.

COME UNA STELLA CADENTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora