Se l'aspettava diversa. La vita.
Pensava che sarebbe stata diversa. La vita. La sua vita.
Aveva ritrovato la speranza.
Quella sera si sdraiò sul prato bagnati da fredde gocce di rugiada. Nella notte.
Volse lo sguardo sopra di lei. Una distesa blu le fece tremare i nervi. Anzi, no. A farla tremare furono quei piccoli puntini luminosi che si appoggiavano sul cielo tenebroso. Si sentiva brillare di felicità e spensieratezza. Si sentiva incandescente, vibrante di energia e gioia.
La sua mano era intrecciata a quella di sua madre. Insieme ridevano, sperperavano luce, erano abbaglianti. Sua madre non lavorara più così tanto, e aveva il tempo di guardare le stelle con lei. Con Celeste.
<<Sei emozionata per domani?>> domandò alla figlia.
<<Moltissimo>>. L'indomani avrebbe rivisto Pollux e Castor, le stelle più luminose della costellazione dei Gemelli. Anzi, no. Le stelle più luminose dell'intero spazio, di tutte le galassie. Le sue stelle sulla Terra.
Sarebbero partite per Parigi, dove oramai i fratelli vivevano, insieme al padre, con il quale andava sempre meglio il rapporto. Pensando a ciò, Celeste si rassicurò. Tirò fuori un sospiro di sollievo e chiuse gli occhi pregustando il tepore degli abbracci dei suoi amici.
Quella sera aveva festeggiato il suo compleanno con il resto delle sue amicizie. Thiago, Marla, Carla, Jonathan. Erano passati mesi e ormai tutti avevano terminato il loro percorso nell'ospedale. O quasi tutti...
Una nuvola possente coprì le stelle tanto amate, quanto odiate, nel momento in cui la ragazza pensò ad Aura. Lei si trovava ancora chiusa lì, ogni tanto la sentiva, l'andava a trovare, ma ancora non si riuscivano a vedere miglioramenti.
E poi c'era lei. Eccola la vide, proprio nel momento in cui il vento si portò via la nuvola. Era proprio lei. Angi. Morì due giorni dopo il ritorno in ospedale di Castor e Celeste, troppo debole anche solo per respirare. Adesso lei era una stella, una delle più belle.
Olimpia Berger strinse ancora più forte la mano della figlia.
<<Tanti auguri, piccola stella>> le sussurrò, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dalla stanchezza nel mondo dei sogni.
E Celeste rimase sola. Sola con le sue stelle. Le guardò una ad una, sognando, sorridendo, finché una lacrime non le solcò il viso. Era finito. Era tutto finito. Finalmente.
Chiuse gli occhi anche lei, lasciandosi trasportare dalla melodia del tiepido venticello che tirava.
Ed in quel momento prese consapevolezza, il quel momento capì cosa significava essere una stella.
Sfiorò con la mano la collana che le aveva regalato Pollux a Natale.
Capì che dopo tanti sforzi, dopo tanto dolore, dopo tutto ciò che aveva dovuto sopportare, finalmente, finalmente aveva realizzato il sogno di quella bambina.
Aveva capito la vera essenza delle stelle: le stelle per brillare devono essere vive. Vive. Piene di luce, di calore. E lei era viva. Lei brillava. E non aveva alcuna intenzione di spegnersi. Mai più.
Finalmente c'era riuscita.
Finalmente poteva respirare.
Finalmente poteva vivere.
Finalmente era diventata una stella.
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COME UNA STELLA CADENTE
General Fiction[IN REVISIONE] Celeste ha tentato il suicidio a soli 17 anni. Quando viene ricoverata in ospedale psichiatrico incontra Castor, ragazzo che sveglia la curiosità di Celeste. I due diventano in fretta amici, accumunati dal motivo per cui si trovano in...