Non riuscivano a trovarli. Cercarono ovunque, nei posti più improponibili. L'infermiera cocco e vaniglia guardò addirittura negli oblò delle lavatrici nel reparto lavanderia, dentro le mensole degli uffici, sotto i tappeti e sotto le lenzuola, eppure di loro non vi era alcuna traccia. Celeste e Castor erano spariti.
Già da qualche ora l'ospedale si era messo in moto per le ricerche ma parevano evaporati, scomparsi dalla faccia della terra. Thiago e Marla provarono a chiamarli più volte sul cellulare, ma non erano raggiungibili: se solo avessero saputo che quei telefoni in quel momento si trovavano nei campi di papaveri francesi...
Angi non collaborava alle ricerche, troppo debole anche solo per aprire gli occhi, per alzarsi dal letto, dove continuava a riposare. Jonathan sedeva sul bordo del letto accanto a lei, le accarezzava il volto, i pochi capelli neri che le erano rimasti. Era troppo spaventato dal caos che si era creato nell'ambiente e terrorizzato dall'idea di dover lasciare Angi da sola anche solo per un secondo. Anche solo per un respiro. Carla piangeva disperata nel suo letto, battendosi il petto ripetutamente e urlando il nome di Castor con tutta la voce che aveva in corpo. Di Aura, invece, neanche l'ombra.
<<Allora?>> domandò la dottoressa Ambra a Marla.
<<Non sono raggiungibili, forse hanno i cellulari spenti>>.
<<Dobbiamo chiamare la polizia. Ora>>.
Ciò che i poliziotti trovarono furono letti perfettamente intatti, vestiti mancanti dagli armadietti e lamentele da parte degli infermieri che non si trovavano più i soldi nel loro portafoglio.
<<Sono fuggiti>>. La sentenza cruda e brutale del poliziotto schiaffeggiò tutti i medici.
<<Ma come sono fuggiti? Come è possibili? La struttura è stata messa in sicurezza...>>.
<<Non ne ho idea del come, ma lo hanno fatto>>.
<<Capitano, forse è meglio che venga a dare un'occhiata>>. Il più giovane dei tre poliziotti non si era fermato un attimo: aveva continuato a girovagare per i corridoi alla ricerca di una qualsiasi risposta. Fece un cenno con la testa e li condusse nella sala di ritrovo, dove la finestra era aperta.
<<Guardi qui: la serratura è stata forzata>>.
<<Ha ragione...>>.
Uscirono sul terrazzo. Poi il giovane poliziotto lo condusse lungo le scale antincendio fino ad un punto. Un esatto punto.
<<Osservi>> disse al capitano accompagnando le parole con un gesto della mano.
Il capitano si affacciò dalla scala guardando oltre il muro di confine: una lunga catena di lenzuola penzolava da quel punto.
<<Quei piccoli...>>. Un sospiro pesante e frustrato lasciò le labbra del capitano, mentre iniziava a ragionare.
<<Rintracciamo i telefoni, non devono essere andati lontani>>.
<<Come scusi?! Dov'è mia figlia! Ho il diritto di saperlo!>>. Olimpia Berger stava urlando nella stazione di polizia, attirando su di se tutti gli sguardi.
<<Signora, si calmi>>.
<<Si calmi un corno! Mia figlia è scomparsa!>>.
<<Si, lo sappiamo, ma la troveremo. Non si preoccupi. Ora venga nel mio ufficio>>.
Il capitano la condusse in una stanza abbastanza vuota: vi era una scrivania in mogano con due sedie imbottite poste davanti e una sedia più grande dietro, per il capitano. Per il resto la stanza era senza identità, senza anima, tranne per qualche scatolone sparso qua e là.
<<Scusi il disordine, ma sto ristrutturando l'ufficio>>.
Olimpia si sedette su una sedia imbottita lasciandosi proprio cadere e sbattendo la borsa sull'altra.
<<Dov'è?>> continuava a chiedere nella speranza di una risposta.
<<Ci stiamo lavorando, signora Berger. I miei collegati stanno rintracciando il cellulare di...>>.
<<Mio figlio! Dov'è?>>. Un signore dall'aspetto abbastanza trasandato si precipitò all'interno dell'ufficio sbattendo la porta.
Dietro di lui un poliziotto disse:<<Mi perdoni, capitano. Ho tentato di fermarlo...>>.
<<Non si preoccupi, può andare>>.
Il poliziotto uscì chiudendo la porta alle sue spalle.
<<Lei è il padre di Castor?>> chiese il capitano rivolgendosi all'uomo.
<<Si, sono io>>.
L'uomo indossava una camicia a quadri blu trasandata con dei jeans tutti sporchi di terra. I capelli chiari arruffati e gli occhi celesti brillante erano le uniche cose che rendevano quell'uomo decente alla vista, pensò Olimpia.
<<Allora>> cominciò il poliziotto <<i vostri figli sono fuggiti dall'ospedale>>.
Olimpia si mise una mano davanti la bocca cercando di trattenere un singhiozzo.
<<Stiamo rintracciando i loro cellulari, presto li troveremo>>.
Proprio in quel momento entrò un poliziotto nell'ufficio con il respiro abbastanza pesante e gli occhi spaventati.
<<Capitano, abbiamo tentato di ritracciare i cellulari dei ragazzi, ma non ci siamo riusciti. Pensiamo che li abbiano rotti: in questo caso sarebbe impossibile trovarli>>.
Olimpia Berger scoppiò definitivamente in lacrime.
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COME UNA STELLA CADENTE
Ficción General[IN REVISIONE] Celeste ha tentato il suicidio a soli 17 anni. Quando viene ricoverata in ospedale psichiatrico incontra Castor, ragazzo che sveglia la curiosità di Celeste. I due diventano in fretta amici, accumunati dal motivo per cui si trovano in...