<<Mi sta venendo un dubbio: ma cosa avete fatto dopo che siete scesi dalla torre?>> chiese Pollux.
<<Semplice: abbiamo dormito>> rispose Castor con non curanza, continuando a sfogliare il libro di storia di Pollux.
<<Cosa? Io mi stavo disperando e voi dormivate?>>.
<<Ehi, hai fatto tutto tu. Nessuno ti ha detto che eravamo morti>> rispose Celeste scompigliandogli i capelli mori. Pollux sbuffò.
<<E dove avete dormito?>>.
<<Ci siamo sdraiati vicino alla Senna per guardare le stelle, e invece ci siamo addormentati>> rise Castor.
<<Non ci posso credere>> sussurrò Pollux scuotendo la testa.
<<E fai piano, Castor. Così me lo rovini>> Pollux tentò di strappargli il libro di mano, ma Castor lo tirò a se, cosa che fece anche Pollux, finché non si misero a discutere.
<<Scusate, ragazzi. C'è gente che qui vuole riposare>>. A parlare fu una donna anziana, seduta davanti loro, che con una benda rosa sugli occhi tentava di prendere sonno.
I tre si trovavano su un aereo, diretti verso Torino. Pollux era seduto vicino al finestrino, Celeste in mezzo ai fratelli, mentre Castor, alla sua destra, aveva il poliziotto che li stava accompagnando nella loro città.
Era il due gennaio 2023. Era passato un mese esatto dalla loro fuga dall'ospedale. E molte cose erano cambiate in quel mese. E tantissime altre in un solo giorno.
Dopo la chiamata al padre del giorno precedente, Paolo chiamò immediatamente la polizia avvisando delle informazione che aveva ricavato. La polizia lo rassicurò, dicendogli che avrebbe immediatamente avvertito le autorità francesi, affinché avessero preso in custodia i ragazzi per riportarli a Torino.
Subito dopo quella telefonata, Paolo chiamò Olimpia Berger, che scoppiò in lacrime alla notizia che le diede l'uomo, ringraziandola infinitamente.
Quello stesso pomeriggio la polizia contatto anche l'ospedale psichiatrico in cui erano ricoverati Castor e Celeste, avvisandoli del ritrovamento dei due ragazzi. Gli infermieri, i dottori, e gli amici dei due festeggiarono e si rallegrarono, preparandosi per accoglierli al loro ritorno.
E così, eccoli li, su quel volo, diretti nel luogo da cui erano fuggiti.
Quando atterrarono e sbarcarono, una scorta di polizia era pronta a portare i tre ragazzi in stazione, per interrogarli, risolvere il caso ed infine chiuderlo. Il viaggio in macchina fu abbastanza lungo e noioso. A Torino c'era un'aria grigia, che andò a rendere più nervosi del previsto i tre ragazzi.
<<Quando possiamo vedere i nostri genitori>> domandò Celeste ai due poliziotti nella vettura.
<<A breve: appena arriveremo in stazione>>.
Ed infatti così fu. Giunti alla stazione di polizia, ad attenderli nell'ufficio del capitano vi erano seduti Paolo Manni e Olimpia Berger.
Quando Castor, Pollux e Celeste entrarono i loro cuori esplosero. Si proprio così, scoppiarono di felicità, di sollievo, di amore.
Olimpia si precipitò ad abbracciare sua figlia. Entrambe scoppiarono a piangere, si strinsero in un forte abbraccio. Olimpia accarezzò tutto di sua figlia: i capelli castani, gli occhi, la curva delle labbra, del naso, e poi ancora il profilo, e le braccia, le mani, e poi la strinse di nuovo a se, cercando di pronunciare qualche parola, ma invano. Olimpia sentiva il cuore ballare dalla felicità, il sangue scorrerle nella vene, l'energia nel suo corpo, la speranza viva. Improvvisamente sentì caldo e capì che non avrebbe più dovuto tenere il giaccone, perché tutto l'amore glielo stava donando sua figlia.
Paolo e i suoi figli rimasero a guardarsi qualche secondo, distanti. Poi anche 'uomo sentì le gambe formicolare e corse ad abbracciare i suoi figli. Con quel contatto esplose in un pianto colmo di rabbia, rammarico, delusione e disperazione.
<<Mi dispiace, ragazzi. Mi dispiace di non essere stato un padre>> sussurrava ai figli, che non potevano far altro che ricambiare l'abbraccio, anche se un po' forzato.
<<Perdonatemi, vi prego....>>.
<<Non è il momento>> disse Castor. Paolo gli toccò i capelli con forza, li guardò entrambi negli occhi. Quegli occhi stracolmi di colore e di vita, finalmente ci leggeva dentro la vita, vedeva qualcosa in più.
E per minuti che sembrarono infiniti, tutti i loro cuori si connetterono, si legarono, si fusero tra loro, si ritrovarono.
La cosa di cui Paolo e Olimpia erano certi era che non avrebbero mai più perso i loro figli.
Celeste e Castor erano certi che non sarebbero più scappati, da nulla.
Dopo il breve interrogatorio dei tre, in cui confessarono ciò che avevano fatto durante il mese, Castor e Celeste vennero riportati in ospedale, per terminare il loro percorso.
Tutti li accolsero con grande calore e felicità, e Castor e Celeste si meravigliarono di quanto si sentissero felici in quel momento in maniera inaspettata. Gli erano mancati.
Due ore dopo il loro rientro, Celeste si trovava seduta di nuovo nello studio della dottoressa Ambra, a raccontare ciò che aveva vissuto, ciò che aveva provato e capito.
<<Ho capito che ho un futuro. Non riesco a vederlo, ma so che ce l'ho, ed è la malattia che mi fa pensare di non averlo>>.
<<E' un buon risultato, Celeste, anzi direi un grande risultato>> notò stupita la dottoressa, <<hai paura di affrontare la malattia?>>.
<<Si, molta, a dir la verità. Ma ho capito che ne si può uscire, che se ne esce, prima o poi. Sono consapevole che sarà un lungo percorso, ma sono pronta, voglio farlo, voglio vivere>>.
Dopo tanti altri racconti, la dottoressa congedò Celeste al termine dell'ora di terapia.
La ragazza si alzò, andò alla porta, salutò la dottoressa. Ma quest'ultima la richiamò.
<<Ah, Celeste>>.
<<Si?>>.
<<Bentornata>>.
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COME UNA STELLA CADENTE
General Fiction[IN REVISIONE] Celeste ha tentato il suicidio a soli 17 anni. Quando viene ricoverata in ospedale psichiatrico incontra Castor, ragazzo che sveglia la curiosità di Celeste. I due diventano in fretta amici, accumunati dal motivo per cui si trovano in...