Olimpia Berger e Paolo Manni si trovavano seduti al tavolino di un semplice bar di Torino. Erano le undici di mattina e i loro figli erano scomparsi da dieci giorni. Nessuno sapeva nulla. Nessuna telecamera del paese li aveva registrati. La polizia non sapeva più cosa fare, sembrava che avesse già perso le speranze. Ogni minuscolo indizio la portava sempre ad un vicolo cieco.
Ed in quel piccolo e buio bar Olimpia e Paolo stavano fissando i loro rispettivi caffè, senza berli, ognuno concentrato sui propri pensieri.
<<Le va se un giorno di questi ci andassimo a prendere un caffè, per parlare, per tenerci compagnia?>>. Così Paolo Manni aveva invitato Olimpia quel giorno in cui andarono alla stazione di polizia, appena misero un piede fuori dalla stazione.
<<I nostri figli sono scomparsi e lei pensa ad un caffè?>> urlò indignata la donna.
<<Mi perdoni, non volevo risultare un menefreghista. Ma sa, credo che non passeremo dei bei giorni, magari della compagnia può farci bene>>.
Così Paolo le lasciò il numero di telefono e per dieci giorni Olimpia fu indecisa nel chiamarlo. Di certo questa inutile scelta la distraeva dalla sua amata Celeste e da tutti gli orribili pensieri che le tartassavano la testa.
Dopo nove giorni dalla scomparsa Olimpia decise di chiamare Paolo.
<<Sa, ci ho riflettuto a lungo, e credo che mi servirebbe proprio un po' di compagnia>> cosi aveva detto all'uomo, e quindi eccoli li, in quel bar, in silenzio, a osservare i loro occhi riflessi nel nero del caffè.
Paolo era così concentrato nel capire dove il suo Castor potesse trovarsi che non si accorse dei singhiozzi sommessi della donna. Quando se ne rese conto, lei stava piangendo a dirotto, gli occhi venati di rosso, le guance tinte di rosa e un fazzoletto davanti la bocca, per evitare di far uscire strani versi.
<<La prego, non pianga>> le sussurrò Paolo, appoggiando la sua mano su quella di lei. Pensava in un rifiuto, eppure la donna la strinse forte forte. Si percepiva tutto il suo dolore, si rendeva conto del bisogno di aiuto che desiderava tanto.
<<Mi scusi, ma sono così preoccupata>> continuava a ripetere, mentre si soffiava il naso e si asciugava il viso con il fazzoletto.
<<Lo capisco, anche io lo sono. Mi dica, Celeste è la sua unica figlia?>> le domandò stringendole un altro po' la mano bianca e candida.
E con questa domanda il silenzio tra i due fu interrotto e si aprì una voragine di parole, di lacrime e paure.
Olimpia guardò gli occhi chiari dell'uomo e per la disperazione ci si buttò a capofitto.
Si soffiò nuovamente il naso, poi cominciò a parlare.
<<Già, è la mia unica figlia. E' la stessa cosa anche per lei?>>.
Paolo sospirò. <<No, in realtà. Ho due figli, Castor e Pollux: sono gemelli>>.
Gli occhi cerulei di Olimpia si illuminarono mentre un piccolo sorriso le spaccò il viso.
<<Castor e Pollux? Le stelle più luminose...>>.
<<...Della costellazione dei Gemelli>> finì per lei Paolo.
I due sorrisero e i loro cuori ripresero a battere un pochino di più rispetto a prima, provando un briciolo di sollievo.
<<Sono dei nomi bellissimi...>>.
<<La ringrazio, ma è tutto merito di mia moglie: era un'appassionata dell'astrologia>>.
<<Era?>>. Olimpia sperava che l'uomo si fosse sbagliato, ma i suoi desideri non furono esauditi.
STAI LEGGENDO
COME UNA STELLA CADENTE
General Fiction[IN REVISIONE] Celeste ha tentato il suicidio a soli 17 anni. Quando viene ricoverata in ospedale psichiatrico incontra Castor, ragazzo che sveglia la curiosità di Celeste. I due diventano in fretta amici, accumunati dal motivo per cui si trovano in...