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Sull'aereo la gamba di Celeste si agitava, traballava, si muoveva frenetica.

<<Hai paura di volare?>> le chiese Castor, mentre spegneva il suo cellulare.

<<In realtà non ho mai volato>> rispose lei, guardando fuori dal finestrino e attendendo il momento del decollo.

<<Vedrai che andrà tutto bene. Sarà come riuscire a toccare il cielo>>.

Celeste si voltò e gli sorrise. Rimase a guardarlo per un po', meravigliata dalla sua bellezza.

All'improvviso, un rombo potente spezzò l'atmosfera di quel magico momento e Celeste si tenne agganciata con le mani al sedile avanti, mentre le sue gambe prendevano vita. Adesso tremavano entrambe.

La mano di Castor finì sulla gamba destra di Celeste, mentre un "sta' tranquilla" le raggiunse le orecchie.

In un solo colpo, Celeste smise di tremare e si irrigidì completamente. Nessun ragazzo le aveva mai messo una mano sulla gamba. O almeno nessuno lo aveva fatto con l'intenzione di calmarla.

Il tocco caldo e delicato delle dita di Castor le oltrepassò il tessuto dei jeans, e dopo qualche secondo tutti i suoi muscoli avvertirono quella magnifica sensazione di pace e sollievo, e si rilassarono. Un sospiro lasciò le labbra di Celeste, mentre tornava a guardare fuori dal finestrino, osservando Torino che si faceva sempre più piccola sotto i suoi occhi e beandosi di quel momento. Una volta in alto, davanti gli occhi dei ragazzi comparve una magnifica vista.

<<Siamo sopra le nuvole>> sussurrò Celeste, incantata.

Un tappeto completamente bianco si stendeva sotto loro. Sembravano così soffici le nuvole, aveva voglia di aprire il finestrino e saltare su queste, di addormentarsi li. Aveva la sensazione che queste infondessero calore, proprio come la mano di Castor sulla sua gamba. Ogni tanto qualche nuvola apriva un piccolo varco per far lasciar passare i raggi di sole che tentavano di scaldare la città. Il sole era spettacolare: un'immensa palla gialla rifletteva negli occhi scuri della ragazza, che cercava di prendersi tutto l'affetto e l'accoglienza che questo poteva dare.

<<Mi sento già meglio>>, disse a Castor voltandosi verso di lui.

Ma il ragazzo aveva abbandonato il capo sul suo sedile, lasciandosi cullare dal tiepido tepore del sole, in un sonno profondo.

Celeste allora approfittò del momento per scrutarlo.

Delle strisce di luce gli illuminavano i capelli, rendendoli ancora più chiari, mentre le ciglia lunghe decoravano quegli occhi chiusi, che nascondevano dei preziosi colori. Il sole sul suo volto scavava delle ombre nelle guance, facendogli sembrare il volto più magro di quello che era. La bocca socchiusa si rilassava con dei piccoli sospiri. A mano a mano che il tempo passava, le sue guance, toccate dai raggi, si tingevano di rosso, donandogli un'aria ancora più stramba e buffa.

Celeste scosse il capo e continuò a guardare fuori dal finestrino. Ammaliata da quel calore, decise di concedersi anche lei un rapido pisolino.



Appena scesero dall'aereo, trovarono il caos. Si erano fatte le dieci passate e l'aeroporto di Versailles era invaso di persone.

<<Spegni il telefono>>, disse in tono severo Castor, guardando avanti e a se e spingendo dolcemente la mano sulla schiena di Celeste.

<<Nessuno ci deve rintracciare>>, aggiunse poi.

<<Ma come faremo senza navigatore? E con la lingua?!>>. Celeste iniziò ad agitarsi. Sembrava che avesse appena realizzato di trovarsi in un paese straniero, dove si parla una lingua che non conosce, senza l'aiuto di nessuno.

COME UNA STELLA CADENTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora