Capitolo 7-Moka

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Nico's pov

Il caffè amaro post-sbornia era un rituale che accompagnava le mattine dei miei weekend ormai da qualche anno.

Ero un tipo piuttosto maniacale, amavo l'organizzazione e per questo avevo una routine ben consolidata.

Venerdì sera: pub con gli amici, qualche drink, una bella bionda e una camera d'albergo.

Sabato sera: locale notturno, spogliarelliste, alcolici e fumo.

Domenica sera: cena in un ristorante stellato, lavoro fino a tarda notte e un buon bicchiere di scotch.

Si ripeteva tutto allo stesso modo e ogni volta mi sembrava la prima, andavo avanti ad oltranza, non sapendo per quanto il mio fisico avrebbe retto quei ritmi assurdi.

Dall'esterno sembrava quasi mi divertissi come un pazzo, del resto ero ricco, pieno di donne e sempre impegnato.

In realtà, il divertimento non sapevo più nemmeno cosa fosse, ero cinico all'estremo e sì, ero sempre circondato da feste e bella gente, ma ero decisamente vuoto dentro.

Dico "quasi" perché temevo che gli occhi potessero tradirmi e mostrare il lato di me che più cercavo di occultare.

Quello che mi faceva venire a noia qualsiasi donna mi scopassi.

Quello che mi faceva vomitare se esageravo con l'alcol.

Quello che mi faceva chiedere perché mi sentissi sempre così solo anche in una stanza piena di gente.

Il caffè era diventato ghiacciato sul tavolo del mio enorme loft in centro a Milano.

Non mi andava più di berlo, mi piaceva amaro, non freddo, un po' come era la mia vita.

Quel sabato mattina niente andava nel verso giusto, la mia testa continuava a divagare da un pensiero all'altro senza sosta.

Mi ero svegliato con un mal di testa lancinante e la nausea, a malapena ero riuscito a trascinarmi fuori dal letto.

Conoscevo bene la causa di tutto quel malessere, ma continuavo a rifuggirla.

Buttai il caffè nel lavandino e preparai un'altra moka da mettere sul fornello.

Mi massaggiai una tempia lentamente e chiusi gli occhi, pessima idea: la rividi.

Grandi iridi color nocciola, sguardo severo, labbra laccate di rosso e capelli castani con alcune ciocche color caramello.

La mia routine del venerdì sera era stata spezzata proprio da lei con il suo vestito fucsia e i tacchi a spillo assassini.

Lei che aveva un nome e un cognome altisonante: Elizabeth come la regina del Regno Unito, Del Corso come la via romana dedicata allo shopping più famosa d'Italia.

La sera precedente, infatti, quell' esuberante e scorbutica dipendente della mia agenzia milanese aveva avuto bisogno del mio aiuto.

O meglio, io le avevo dato il mio aiuto senza che lei me lo chiedesse e non me ne dispiacevo nemmeno un po'.

Io ed Elizabeth avevamo visioni diverse sull'agenzia, io pensavo al fatturato, lei a rendere felici le persone.

Non l'aveva mai ammesso, ma i suoi occhi avevano parlato per lei e io l'avevo capito subito che era una di quelle che credevano nell'amore.

Ci teneva ai clienti, voleva che trovassero la loro anima gemella e si dedicava anima e corpo a organizzare gli eventi di dating per farli divertire e conoscere meglio.

Era una dipendente di primo livello e sembrava nata per fare questo lavoro, peccato per il caratteraccio che si portava appresso.

Una piccola determinata insolente, ecco che cos'era e ieri sera mi aveva fatto incazzare non poco avendo organizzato una festa extralusso spendendo più del dovuto.

Una storia d'amore al rovescioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora