Capitolo 865: ...non dispiaceria el Sig. Optaviano, quale hanno per bono homo...

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Domenica, dopo aver aspettato Caterina fuori da San Lorenzo, Fortunati aveva detto che si sarebbe fermato in città per qualche giorno. La Sforza non aveva chiesto molte spiegazioni, le era bastato sapere che il piovano, proprio nel corso della sua paziente attesa, aveva saputo che la figlia nata da poco di Jacopo e Lucrezia Salviati non stava molto bene e così aveva desiderio di star loro vicino e pregare con loro per la piccola.

Ovviamente la Tigre non aveva potuto opporsi a una simile scelta di umana carità e anzi, intimamente si trovò a pensare una volta di più a quanto fosse un uomo di buon cuore il suo Francesco, ma di fatto già quella sera stessa si era pentita di non aver provato a farlo tornare a Castello con sé.

Il lunedì era passato tra il caldo impressionante di un 11 settembre che sapeva ancora di piena estate e la noia. Nemmeno passare del tempo con Pier Maria – che cresceva sano e forte e sempre più curioso – aveva alleviato il malessere della Leonessa che, nel capire quanto l'assenza di Fortunati le stesse pesando, si sentiva ancora peggio.

Non era bastato a distrarla nemmeno un messaggio da Creobola, che chiedeva licenza dalla Romagna, dato che le possibili trattative con il castellano a cui la Sforza era stata maldestramente promessa in sposa da Firenze sembravano poco meno che 'bagatelle da sora o da prevosto' come aveva scritto la serva. Caterina, anzi, aveva messo da parte la missiva e non l'aveva, momentaneamente, nemmeno degnata di una risposta.

Il culmine dell'agitazione era arrivato nella notte tra lunedì e martedì. Insonne, nervosa e incapace di star ferma anche un solo istante, la Tigre aveva cercato di distrarsi guardando fuori dalla finestra, ma, forse per qualche nuvola che si mescolava al nero del cielo, forse per la vista fiaccata dal pomeriggio passato – inutilmente – a cercare di leggere per distrarsi, la donna non riusciva a vedere altro se non macchie e ombre, nella volta celeste e quindi si trovò solo più frustrata di prima.

Non sapeva dire nemmeno lei quale fosse la causa principale del suo nervosismo, forse perché, probabilmente, si trattava di un insieme di fattori. Dalla mancanza del piovano, alle preoccupazioni per il Conclave che stava per iniziare, dall'attesa di notizie da Bianca, prossima al parto, agli incubi che erano tornati a visitarla ogni notte... La Leonessa sapeva bene di aver più di una ragione per essere nello stato in cui era.

Guardò un momento il letto, ma abbandonò subito l'idea di provare a dormire. Era stanca, e forse sarebbe anche riuscita a prendere sonno, ma era esasperata dagli spettri che infestavano i suoi sogni... Non voleva imbattersi più nell'ombra di Girolamo Riario, nel cadavere sfatto di Giacomo o, forse ancora peggio, nel diavolo che tutti chiamavano Valentino.

Caterina si strinse una mano nell'altra e poi, non potendo vincere l'istinto che la guidava, indossò in fretta abiti da giorno e gli stivali e uscì dalla stanza. Fortunati non voleva che uscisse a cavallo nei boschi, men che meno di notte, ma il piovano non era lì a controllarla e, grazie alla sua mezza amicizia con lo stalliere, sarebbe riuscita ad andare e tornare senza che nessuno lo sapesse.

Silenziosa come un'ombra, abbastanza sicura di non essere seguita da nessuno, la donna fece una breve deviazione verso il piccolo magazzino dove tenevano per lo più gli attrezzi di falegnameria.

Aveva fatto nascondere lì dai suoi figli una piccola lancia artigianale, che aveva ricavato lei stessa di nascosto da un vecchio paletto di legno e da una lama scartata dalle cucine. Era un'arma a dir poco rudimentale, completamente differente dalla bellissima lancia da cinghiale che Giovanni le aveva regalato anni addietro come pegno d'amore, ma le sarebbe bastata, specie se unita al pugnale che nascondeva sotto le vesti.

Da lì, andò alla stalla, coperta dal cielo che si scuriva sempre di più, malgrado ci si stesse lentamente avvicinando all'aurora.

La Leonessa entrò senza far rumore, cercando con lo sguardo lo stalliere, ma, nel buio, non lo vide.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora