Capitolo 890: E lei farà quanto li parerà.

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Cesare non era tranquillo. Non era riuscito a chiudere occhio e gli sembrava che ogni scricchiolio della nave potesse essere foriero di disgrazie.

Da quando Michelotto era scappato da Ostia, per sfuggire a un mandato di cattura a suo nome, il Valentino si sentiva perso. Anche sa da un lato era sicuro che nessuno, nemmeno un uomo tracotante come Giuliano Della Rovere, si sarebbe azzardato a spiccare un mandato d'arresto anche per lui, vedere delle guardie cercare espressamente Miguel l'aveva turbato.

Sapeva che il suo amico sapeva cavarsela e gli aveva permesso di portare con sé un discreto numero di uomini, tuttavia non avere sue notizie lo stava angustiando e quell'attesa lunghissima al porto di Ostia non migliorava certo lo stato dei suoi nervi.

Fosse dipeso unicamente da lui, avrebbero salpato per La Spezia già quella notte stessa, ma stava ancora aspettando rassicurazioni da liguri senza le quali il comandante delle galee non intendeva muoversi.

C'era ancora buio, ma Cesare rinunciò una volta per tutte al sonno. Accese un paio di candele e si guardò attorno, avvilito. Viveva in una cuccetta dalle pareti di legno scuro, una sorta di gabbia che si era imposto da solo, non poi così dissimile dalla cella che l'aveva ospitato a Roma...

Sgranchendosi le spalle e le braccia, l'uomo fece un paio di respiri profondi e decise di andare sul ponte della nave. Non aveva voglia di sentirsi fare domande dai marinai, ma sentiva la necessità urente di prendere un po' d'aria fresca e sapeva che a fine novembre, seppur fossero praticamente a riva, il mare era sfiorato sempre da un venticello quasi gelido, che era proprio ciò che gli ci voleva per svegliarsi definitivamente.

Arrotolato nel suo mantello, i capelli che si muovevano impazziti al vento – che era molto più impetuoso di quanto si fosse atteso – il Borja raggiunse il ponte e guardò verso il mare, la cui calma era quasi inquietante. Capitava che, con le correnti che tiravano al largo, l'acqua sembrasse un piatto d'argento, ma quella notte aveva qualcosa di irreale.

In un primo tempo il Valentino non diede peso alle voci che sentiva a prua. Pensò a una lite tra marinai ubriachi: stando attraccati tanto a lungo capitava spesso che il malumore serpeggiasse nell'equipaggio.

Poi, però, sentì qualche stralcio di parola che lo mise in allarme. Gli parve che qualcuno gridasse 'ordine' e 'catturare', ma anche e soprattutto 'Duca'.

Con il cuore in gola, lasciò il mantello lì dov'era, per paura che lo impedisse nei movimenti e iniziò a correre, ma senza una meta. Dove poteva scappare? Nascondersi in una nave, per quanto grande, era impossibile... Gettarsi in acqua? Non poteva nemmeno prendere in considerazione quell'ipotesi...

Stava ancora decidendo da che parte andare, se nel ventre della galea o nel gelo del mare, quando vide due uomini correre verso di lui. Anche al buio riconobbe perfettamente le armature usate dalla guardia personale del papa.

"Siete in stato di fermo, Duca." disse uno dei due, afferrandolo per un braccio, mentre l'altro armeggiava con le catene: "Provate a opporvi e potrebbe capitarvi qualcosa di molto spiacevole."


Caterina non era più riuscita a chiudere occhio, mentre per fortuna Francesco si era addormentato in fretta e l'aveva lasciata libera di pensare in santa pace.

Con il piovano accanto, che respirava lento e sognava beato, le sembrava tutto facile. Nella sua mente avrebbe parlato con calma con Baccino e con Fortunati e avrebbe fatto capire loro che li avrebbe avuti entrambi, senza bisogno di suscitare rancori e incomprensioni. Avrebbe detto loro che, così come c'erano uomini incapaci di avere un'unica donna, così lei era incapace di avere un unico uomo, che non si trattava di una questione di sfiducia o tradimento, ma solo...

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora