Capitolo 878: ...me ricomando per mille volte...

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Machiavelli aveva provato un brivido profondo, nell'entrare a Castel Sant'Angelo. Aveva sentito parlare di quella fortezza, di quella prigione anzi, migliaia di volte, eppure non era mai riuscito a immaginare la sensazione surreale che avrebbe provato nel varcarne l'ingresso.

Lì, si sapeva, era stata tenuta in catene per mesi la Tigre di Forlì e sempre lì, anche se non nelle carceri, si era tenuto il matrimonio tra Bianca Riario e Troilo De Rossi, uno sposalizio che aveva fatto cronaca, ma che era stato dimenticato in fretta, specie dai romani, che nell'arco di una manciata di settimane avevano dovuto fare i conti con la morte di Alessandro VI e poi di Pio III, per prepararsi, infine, a un nuovo Conclave.

Ogni passo che aveva fatto, aveva stretto la gola di Niccolò e aveva fatto correre più veloce il suo cuore. A unirsi all'enorme emozione di trovarsi in quel luogo ammantato di fascino, c'era la consapevolezza che a breve avrebbe incontrato di nuovo Cesare Borja. Il suo impero era crollato e di certo, rispetto all'ultima volta in cui l'aveva visto, l'avrebbe trovato abbattuto e stanco, ma quell'uomo straordinario che nella vita aveva avuto solo due enormi sfortune – ossia non avere alleati validi e incontrare sulla propria strada quella sciagura di Caterina Sforza – era e sarebbe sempre rimasto, per lui, l'emblema di tutto quello che un Principe avrebbe dovuto essere. Bello, elegante, istruito, splendente in armatura così come in abito da ricevimento, con una voce carezzevole e dei modi a tratti così apprezzabili da far dimenticare anche gli scatti d'intemperanza...

Si sentiva un privilegiato, ad avere avuto il permesso per quell'incontro. Quasi non aveva creduto alle sue orecchie, quando la sua richiesta di un abboccamento era stata accettata da chi di dovere. Si era convinto che uomini come il Della Rovere si sarebbero opposti fino allo sfinimento a un incontro tra il Valentino e un rappresentante di Firenze, vista la delicatissima situazione generale...

"Prego." la guardia che l'aveva scortato fino a destinazione allargò il braccio e gli indicò un lungo corridoio, che terminava con un portone fiancheggiato da due altri soldati.

Non erano nei sotterranei, ma poco ci mancava. La luce che arrivava dall'esterno era pressoché nulla, mentre quella delle torce era così forte da dare quasi fastidio agli occhi. C'era odore di umidità e di stantio, qualcosa che ricordava una casa di cura che Niccolò aveva visto da ragazzino, durante un'epidemia, ma allo stesso tempo la percezione prevalente era quella di stare in una cantina.

I passi che lo dividevano dalla porta indicatagli dalla guardia risuonavano sinistri in quel silenzio rimbombante e irreale. Fu un sollievo arrivare in fondo e potersi presentare ai due soldati, rompendo quella coltre impenetrabile di mutismo.

Uno dei due fece scattare la serratura, ma, prima di aprire l'uscio, sussurrò: "Se vi doveste trovare in difficoltà, gridate e accorreremo subito."

Deglutendo, Machiavelli annuì e provò a dire: "Non... Non credo che servirà, comunque... Grazie."

"Non si può mai sapere, con certi prigionieri." ribatté il soldato, facendo finalmente scattare la serratura e schiudendo la porta.

Niccolò si sentì quasi spingere dentro la stanza, e poi udì l'uscio richiudersi con forza. Gli ci volle qualche istante per abituarsi alla penombra, così marcata rispetto alla luce del corridoio, e all'odore strano che gli entrava nelle narici a ogni respiro. Era quasi odore di stalla, ma aveva un qualcosa di più pungente. Solo dopo qualche istante si rese conto che si trattava dell'odore di un uomo che stava chiuso in una stanza da giorni senza poterne uscire, avendo solo un secchio per i proprio bisogni corporali.

Sbattendo le palpebre qualche volta, riuscì finalmente a mettere a fuoco, ma colui che vide, in un primo momento, non gli ricordò affatto lo scintillante e galante Duca di Valentinois.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora