Capitolo 888: ...li messe el regno in testa...

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Giustinian era stato trattenuto molto più di quanto avrebbe voluto negli appartamenti del papa e alla fine quest'ultimo l'aveva lasciato libero solo ed esclusivamente perché si era reso conto di quanto fosse tardi e di quante poche ore mancassero all'incoronazione.

Era stata dunque la paura di avere occhiaie troppo marcate nel giorno della gloria, e non la mancanza di voglia di continua a vantarsi delle proprie idee, a far concedere al pontefice la licenza ad Antonio, che, invece, crollava di sonno.

Indeciso su che via seguire per uscire il prima possibile dai palazzi vaticani, dato che nessuna delle poche guardie del palazzo in servizio sembrava interessata a lui, Giustinian imboccò la strada che ricordava meglio. C'era buio e solo una torcia qua e là permetteva al povero veneziano di non inciampare nei tappeti o andare a sbattere contro qualche suppellettile.

Senza accorgersene, forse sbagliando una svolta, si trovò in una delle sale che norma il papa usava per pranzare e si rese conto subito di non essere solo.

A un tavolino, illuminato da una mezza candela di sego, era seduto Guidobaldo Maria da Montefeltro. Davanti a lui c'era un vassoio vuoto e un calice a metà, segno di una cena molto tardiva e molto frugale.

"Duca..." salutò Antonio, esibendosi in un profondissimo inchino: "I miei ossequi."

L'urbinate, in silenzio, lo fissò e si portò il calice alle labbra. Bevve con calma, sempre con gli occhi tondi e inespressivi fissi sul messo del Doge e poi si alzò e gli si avvicinò.

La situazione era già abbastanza strana e inquietante così, ma quando Guidobaldo posò una mano sul braccio di Giustinian, questi non riuscì a trattenere un sussulto.

"Avete notizia di quanto è accaduto a Rimini?" chiese il Montefeltro, stringendo appena con le lunghe dita.

"No." rispose Antonio, quasi senza fiato.

Il silenzio immobile della notte conferiva all'urbinare un'aura spettrale. Se non fosse stato per il suo respiro lento, ma udibile, non sarebbe stato difficile scambiarlo per un fantasma.

"Ho saputo – spiegò Guidobaldo, lasciando la presa sul braccio del veneziano, ma continuando imperterrito a fissarlo, senza mai battere le palpebre – che la Serenissima ha preso accordi con Pandolfo Malatesta, che ha ceduto al Doge Rimini e tutto il contado."

Giustinian sentì il sangue gelarsi nelle vene. Quella trattativa avrebbe dovuto essere completamente segreta... Era pur vero che a Roma se ne parlava, anche se a titolo di ipotesi...

"Vorrei che pregaste il Serenissimo Doge, da parte mia, di tenere più segrete queste cose... O almeno che la questione di Rimini sia dubbia per qualche tempo ancora. Almeno finché non si appiana la questione di Faenza." disse a bassa voce Guidobaldo: "E della cosa di Faenza, ho assai buone speranze..."

Giustinian, a quel punto, rimase ad ascoltare l'urbinate che ripercorreva con innegabile sicurezza tutti i cenni di benevolenza ricevuti dal pontefice in quei giorni, e annuì ogni volta in cui l'altro rimarcava quanto Giulio II fosse un papa accorto e capace. Nel profondo, però, il veneziano non faceva altro che domandarsi come mai il Montefeltro fosse così interessato alle questioni romagnole... Anche se Urbino non era lontanissima da Imola e Faenza, l'unico vero motivo che sembrava sottostare al suo patema era l'alleanza con Caterina Sforza, un'alleanza mai resa troppo palese, ma nemmeno mai negata.

Cosa pensasse di ricavarci, un uomo come Guidobaldo, dall'alleanza con una donna come la Tigre di Forlì, però, era tutto da capire.

Molti pensavano che quella strana milanese fosse nelle campagne toscane a fare la maglia, ormai lontana dai drammi del mondo, e qualcuno additava il suo figlio primogenito, Ottaviano Riario, come suo possibile erede spirituale. La realtà – come Giustinian e chiunque si occupasse davvero di politica italiana sapeva – era molto diversa. La Leonessa era davvero nelle campagne toscana, ma non stava intrecciando le trame di un ricamo per abbellire un abito, ma di un progetto per tornare a essere quella belva feroce che aveva tenuto sotto scacco l'Italia intera per anni. Cercare un'alleanza con lei non era un affare da nulla, e i rischi, così come i possibili vantaggi, erano enormi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora