Capitolo 872: Nui non semo un santo né un anzolo, ma un omo...

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Era piena notte e il Vaticano era stranamente silenzioso. Quando Alessandro VI occupava ancora il trono di San Pietro, le stanze degli alti prelati romani erano tutto fuorché silenziose, e solo alle prime luci dell'alba si poteva apprezzare una discreta calma, dovuta più allo stremo delle forze dei porporati, che non a una concreta ricerca di pace e santità.

Era forse proprio a causa di quell'aria immobile che Antonio Giustinian sentiva i brividi, mentre seguiva il passo incerto di Pio III, che lo stava conducendo in una zona ancora più tranquilla, se possibile, del palazzo pontificio.

L'Oratore veneziano sapeva già cosa aspettarsi. Da qualche giorno non si parlava d'altro dell'arrivo e della subitanea ripartenza del Duca di Valentinois. Se alcuni avevano preso quella toccata e fuga come un qualcosa di fondamentalmente innocuo, altri avevano invece alzato subito la voce, chiedendo in modo netto al papa cosa intendesse fare, dato che la sua elezione, seppur non ufficialmente, era stata subordinata a un atteggiamento ostile nei confronti del Borja. Nessuno chiedeva a un uomo mite come il Todeschini Piccolomini di emettere ordini di cattura o di morte verso il Valentino, ma nemmeno che gli concedesse grossomodo tutto quello che gli chiedeva.

I due Cardinali che più di tutti si erano mostrati risentiti con il pontefice erano stati Giuliano Della Rovere e Raffaele Sansoni Riario. Il primo aveva sbraitato e agitato le braccia, facendo allusioni nemmeno tanto velate al fatto che se Pio III era stato eletto, il merito era soprattutto suo, e dunque favorire a quel modo un suo naturale nemico quale era il Valentino non era solo un atto irriconoscente, ma un vero e proprio affronto.

Il Sansoni Riario, invece, era stato altrettanto fermo, ma molto più diplomatico, facendo presente che il papa non si poteva nemmeno trincerare dietro la scusa dell'umana carità verso un uomo morente, dato che era ormai risaputo che Cesare Borja era in remissione e stava, almeno, abbastanza bene da recriminare, lamentarsi e dare ordini a chiunque. Raffaele, inoltre, si era pubblicamente indignato del fatto che quella mollezza da parte di Pio III aveva aperto una pericolosa falda di tolleranza, che stava portando i francesi a non voler più tenere strettamente sotto controllo il Duca e i fiorentini a non vederlo più come una minaccia insormontabile, arrivando perfino a rimangiarsi la parola riguardo i fatti romagnoli: il loro appoggio ad Antonio Maria Ordelaffi e, ancor di più, a Caterina Sforza, era ormai nullo, per espresso timore di irritare Cesare Borja, che a loro detta era davvero il legittimo signore di quelle terre.

Quegli scontri – solo verbali – avevano acceso così tanto le giornate romane che Giustinian si era sorpreso fino a un certo punto del fatto che il pontefice si fosse ricordato di lui solo in quel momento, a tarda notte, quando ormai aveva già sprecato il suo poco fiato per rispondere ai prelati più animosi.

"Che avete da dirmi, Santità?" chiese Giustinian, mentre Pio III raggiungeva a fatica uno scranno vicino al camino spento e gli indicava le candele da accendere per illuminare un po' la saletta: "Se volete discorrere della questione del Duca, sappiate che c'è poco da dire... Quello che avete fatto, purtroppo, parla per voi. Permettergli di tornare a Roma e riprendersi le sue cose è stato..."

L'Oratore non finì la frase, perché l'altro gli stava facendo segno di stare in silenzio e gli indicava di nuovo le candele. Antonio, suo malgrado eseguì gli ordini, restando in attesa.

"Non siamo un santo né un angelo, ma un uomo..." sospirò Pio III, con la voce sottile come la pelle grinzosa delle sue guance diafane: "E anche uno di quelli che non si persuadono di ogni cosa..."

Quell'incipit incuriosì Giustinian, che preferì non commentare, lasciando campo libero al suo interlocutore, che, da lì in poi, cominciò a spiegare di come fosse stato ingannato, riguardo la faccenda del Borja.

Gli raccontò di come l'avesse sinceramente creduto prossimo alla morte e di come gli fosse stato presentato come vantaggioso concedergli l'ingresso a Roma prima che morisse. Su mostrò addolorato per la reazione violenta del Cardinale Della Rovere e ancor di più per quella amareggiata del Cardinale Sansoni Riario.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo (parte VI)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora