35. Sei la mia unica e sola

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Seduta su una sedia dura e fredda nella minuscola stanza d'interrogatorio della stazione di polizia di San Francisco, mi domando perché sia stata convocata in tutta fretta

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Seduta su una sedia dura e fredda nella minuscola stanza d'interrogatorio della stazione di polizia di San Francisco, mi domando perché sia stata convocata in tutta fretta. 

In taxi ho cercato di avvisare mio padre che non ha mai risposto al telefono. Nemmeno la sua segretaria l'ha fatto. Avrei potuto chiamare l'Innominato, ma dopo quello che è successo la scorsa notte non me la sono sentita. Anche se ho il sospetto che potrebbe riguardare nostro...

Il sottufficiale Rodriguez, il suo nome scintilla sulla targhetta agganciata al taschino della camicia, fa il suo ingresso nella stanza con un fascicolo sottobraccio. Saluta il collega che è seduto al computer. È un uomo di mezza età con uno sguardo serio, e le sue labbra sottili sembrano non aver mai conosciuto un sorriso.

Si siede alla sua scrivania, poco più grande di un banco di scuola elementare. Allinea con cura tre matite e una penna, come se la disposizione di quegli oggetti fosse una questione di vita o di morte. Sfoglia alcune pagine nel fascicolo con gesti meticolosi, poi lo richiude e alza gli occhi per fissarmi con attenzione. Il nervosismo cresce in me, le mani strette insieme e appoggiate alle ginocchia sono ormai umide. Inizio a nutrire la speranza che ciò che ha da dirmi riguardi mio figlio, anche se lui è stato dichiarato morto. Forse, finalmente, hanno scoperto qualcosa...

«Signorina Allen, grazie per aver accettato di parlare con noi oggi» inizia il sottufficiale con voce autoritaria senza fare alcun accenno a un sorriso. «Questa situazione potrebbe sembrare un po' confusa, ma vogliamo solo chiarire alcune cose riguardo agli eventi che sembrano coinvolgere Nicholas King.»

Se coinvolgono anche lui, allora è proprio così. Però, come ha fatto il poliziotto a scoprire chi è il padre? Non è che l'Innominato si è messo a cercarlo e lui stesso ha denunciato...? No, non può essere. Cosa sto pensando?

Sposto le mani a lato per stringere la seduta fino a sentire dolore alle nocche, ma non voglio che trapeli dal mio viso alcuna emozione. Annuisco, cercando di mantenere i muscoli delle guance rilassati e gli occhi ben aperti. 

«Mi dica. La ascolto.»

«Perfetto. Allora, parliamo di quanto accaduto in Italia.» 

Senza mezzi termini, non c'è che dire. Vuole sincerarsi che sia rimasta incinta nel Bel Paese? 

«Io... Cosa dovrei dirle, mi scusi?»

L'uomo alle mie spalle sbatacchia sulla tastiera del computer. Il sottufficiale si schiarisce la voce e con lo sguardo mi fa capire che non devo interromperlo. 

«Siamo stati informati dell'incidente: me lo può confermare?»

Incidente. Così ha chiamato nostro figlio? Per un attimo, ieri, ho pensato che potesse essersi pentito... La mia stupidità non ha confine. Inghiotto a fatica, sperando che la voce non tradisca alcuna emozione. 

«Se lui preferisce definirlo così, allora sì, c'è stato un incidente.» 

Il sottufficiale alza un sopracciglio, scrutandomi con attenzione: «Lei come lo definirebbe? Una cosa voluta da entrambe le parti

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