44. Chi è mio figlio?

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Io e Adele non ridiamo più

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Io e Adele non ridiamo più. 

Fino a un attimo fa, eravamo felici, sentivamo di essere davvero una coppia, pronti ad accogliere un bambino e ad ampliare la nostra famiglia. Ma ora, davanti alla casa di legno dove ci ha condotti il navigatore, ogni speranza sembra svanire. Non solo mi chiedo se nostro figlio possa davvero essere là dentro, ma mi domando anche come qualcuno possa vivere in un simile tugurio.

La vernice scrostata sulle pareti esterne e le finestre sporche e incrinate non promettono nulla di buono.

Sbircio Adele con la coda dell'occhio.
È livida.

Le prendo la mano, ma le sue dita gelide restano inerti. Stringo più forte, sperando di farla reagire. Ottengo solo un singulto e uno sguardo smarrito, ma è meglio di nulla.

«Insieme possiamo affrontare qualsiasi cosa, ricordatelo sempre.»

«Nostro figlio non può essere qui...»

«Ovunque sia, lo troveremo.»

Le bacio la mano, e ci avviamo verso la casa. I gradini di legno scricchiolano a ogni passo, dando l'impressione che possano cedere da un momento all'altro. Quando suoniamo il campanello, un urlo dall'interno ci intima di aspettare. La porta si apre, rivelando una donna dall'età indefinibile, con una sigaretta precaria all'angolo della bocca.

«Siete i prenotati delle 16?»
La cenere le cade sul seno prosperoso coperto da una maglietta che esibisce, oltre alla macchia grigia, alcune chiazze giallognole.
«Chiamatemi Anne» dice mostrando alcuni molari marci in quello che sembra un ghigno. Le dita di Adele mi stringono complici e io ricambio la stretta.

«Noi siamo Mr & Mrs Anderson.»

Getta il mozzicone in strada e si scosta per farci entrare in quello che dovrebbe essere un salotto.

Non c'è limite al peggio: le condizioni igieniche sono disastrose. Il pavimento è un mosaico di macchie, testimoni di anni di cibo rovesciato e pulizie mancate. L'aria è pesante, intrisa di un odore stantio di muffa e panni sporchi.

Un bambino esile, con calze bucate, sbuca da una porta e si avvicina a noi. I suoi occhi blu, sproporzionati su un volto scavato, rivelano più paura che innocenza. I capelli, tagliati male, sembrano opera di un parrucchiere in coma etilico.

«Siete venuti a prendermi a me?» domanda con speranza. Adele mi conficca le unghie nel palmo e io le stringo la mano per dirle di non cedere.

«Ti ho detto che potevi uscire dalla tua stanza?» le urla contro la donna. «Sam, cazzo! Ti avevo detto di chiuderla a chiave!»
Adele mi lascia la mano per rincorrere il bambino e prenderlo in braccio.
«Non badi a questa piccola stronzetta, vuole solo farsi vedere.»
È una bambina?
La piccina sembra rimpicciolirsi ulteriormente tra le braccia accoglienti della mia donna. Quando la madre affidataria si avvicina, si rintana e assume l'espressione di chi sa per certo che le verrà usata violenza.
«Ti ho detto che puoi disturbare i signori? Non sono venuti per te: quante volte ti devo dire che sei troppo vecchia!»

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