CAPITOLO 3

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POV EVELYN

"Papà non voglio andare al compleanno di Joy"- era un pomeriggio di aprile, ero appena tornata da scuola e questa era stata la prima cosa che avevo detto a mio padre.

"Perché no Evy?"

"Perché no, non mi piace stare con lui, mi fa sempre giocare con le macchinine ma a me non piacciono" – ero una bambina di cinque anni a cui piacevano da impazzire le barbie e tutto ciò che le riguardava. Odiavo giocare con le macchinine. E non perché fossero giochi da maschi. A me piacevano giochi con cui potevo creare mondi alternativi, inventare storie e situazioni irreali che mi permettevano di viaggiare con l'immaginazione. Le macchinine non rientravano tra queste, erano troppo monotone per i miei gusti.

"E tu hai provato a dirglielo che non ti piace?"

"Si, ma non mi ha ascoltato o se lo è dimenticato, perché continua a obbligarmi a giocarci" – non mi piaceva essere obbligata a fare qualcosa, mi piaceva essere libera di scegliere.

"E tu diglielo di nuovo allora, sii decisa mentre glielo dici e guardalo negli occhi. Vedrai che capirà". – e Joy effettivamente capì. E io ero fiera di aver fatto valere i miei desideri, promettendomi da quel momento in poi di fare sempre e solo ciò che avrei voluto.

Mi sveglio all'improvviso senza ricordare il momento in cui mi sono effettivamente addormentata. Allungo le gambe dalla scomoda posizione in cui mi ritrovo e non mi sorprendo di avvertire dolori ovunque. Mi giro verso il comodino per prendere il cellulare e mi rendo conto che è più tardi del previsto. Dannazione, la sveglia non è suonata.

No, forse sono io che non l'ho messa ieri. Diciamo che James mi ha distratto abbastanza da farmelo dimenticare.

Sospiro alzandomi per la solita doccia mattutina. Potevo essere in estremo ritardo, ma non avrei mai rinunciato al mio appuntamento quotidiano. Porto con me in bagno il necessario per prepararmi. Chiudo la porta, non che ci sia qualcuno che possa entrare, se non qualche domestica. Ma amo avere la mia privacy, ne ho bisogno. Mi spoglio e non mi soffermo davanti lo specchio ad osservarmi. Non ho mai avuto nulla contro il mio corpo. Sicuro avrei voluto un seno più prosperoso, un sedere più tonico, magari senza smagliature e con meno cellulite. E anche i miei fianchi se fossero stati meno larghi non sarebbe stato male. Ma infondo, non mi è mai importato di avere un corpo da fotomodella. Forse non lo voglio nemmeno, perché aspirare alla perfezione quando questa non esiste? Verrai sempre giudicato, magari oggi va bene essere magri, magari domani ti diranno che sei troppo magro, e magari dopodomani che hai preso troppo peso. No, se per la perfezione devo aspirare a compiacere la mente degli individui di questa società di massa, allora preferisco di gran lunga l'imperfezione. E poi, sinceramente parlando, non è proprio l'imperfezione a renderci unici, a darci quel particolare in più che gli altri non hanno?

"Facile dirlo Evelyn, il tuo armadio non la pensa così visti tutti quei vestiti corti con l'etichetta, mai indossati per non mostrare agli altri e per paura di essere giudicata"

Ignoro la voce della mia coscienza, così come ignoro le fitte alle gambe che ancora persistono, ed entro in doccia. Lascio scivolare il bagnoschiuma sulla mia pelle, e il brivido che mi dà il contrasto tra il freddo del sapone e l'acqua calda risale lungo il mio corpo.

Cerco di essere il più veloce possibile, ma allo stesso tempo mi lavo accuratamente in ogni punto.

Quando esco dalla doccia sono già le otto e abbandono l'idea di arrivare in orario a lezione. Inizio a vestirmi. Ho optato per un outfit ancora una volta molto semplice. Un jeans chiaro con una felpa corta e una canotta bianca sotto. Ovviamente le vans. Sono la vita quelle scarpe.

My WeaknessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora