CAPITOLO 14

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POV EVELYN

Passi, passi sempre più intensi, la porta della stanza che si apre per poi chiudersi con un tonfo. Ancora altri passi, ormai sempre più vicini. Due occhi furenti fissi nei miei.

Dopo che Alisia ha lasciato la mia stanza sono rimasta per un po' in uno stato di trance, in cui ho lasciato libere le lacrime di scendere lungo le mie guance. Credo mi sia anche colato il trucco ma non me ne sono curata.

A farmi restare paralizzata era la paura. No, anzi, meglio dire il terrore. Quella sensazione che parte da dentro di te, che ti risale lungo lo stomaco fino ad arrivare a contorcerti le viscere e a chiuderti la gola. Ho spento il cervello concentrandomi su tutti i dolori fisici che provavo in quel momento per distogliere l'attenzione dalla sfera emotiva.

Ma poi l'intorpidimento nei muscoli, il dolore alle gambe che si erano quasi addormentante in quella rigida quanto anomala posizione, mi hanno riportata alla realtà, costringendomi a realizzare la situazione.

Avevo il terrore di aver perso la mia migliore amica.

L'unica che c'era sempre stata nei momenti peggiori, nonostante nemmeno lei lo sapesse. L'unica che mi spingeva sempre nel fare la cosa giusta, l'unica che aveva capito senza che io le dicessi nulla. La delusione letta nel suo sguardo non avrebbe lasciato indifferente nessuno. Era quasi palpabile, trasudava da ogni suo poro.

Cosa cazzo ho combinato? È l'unico pensiero che attraversa la mia mente. Ho tenuto nascosta una cosa fin troppo grave alla mia migliore amica, alla mia famiglia, a tutti. Non sono stata in grado di fidarmi di nessuno.

Infondo so che James non mi aveva dato scelta, so che non era stata una mia mancanza di fiducia nei loro confronti, quanto piuttosto una mancanza di fiducia nei confronti delle loro azioni. Perché so benissimo che Alisia avrebbe preso il primo aereo da Madrid e avrebbe scatenato l'inferno. A maggior ragione essendo la sorella di Brian.

Però comunque mi sento in colpa. Se lei mi avesse nascosto una cosa del genere ci sarei rimasta male a dir poco.

Vengo catapultata nel mondo reale da una mano che mi afferra il braccio, con la benda ancora ben in mostra insieme alle chiazze rosse del sangue che aveva ripreso a uscire da dopo la doccia. Probabilmente avrò toccato qualche parte della ferita ancora non rimarginata.

Brian mi osserva, con quei pozzi neri in cui sembra ogni volta di annegare, mentre tiene il mio polso tra le sue mani, per poi osservare il livido violaceo che si trova al di sopra di esso, e poi ancora risalire con lo sguardo verso la parte superiore del braccio. Vedo le sue iridi incupirsi ancora di più mentre l'altra sua mano si chiude a pugno, portandomi a chiedere come faccia al contempo a mantenere una presa così delicata su di me.

Dopodiché torna a guardarmi negli occhi, o almeno questo finché il suo sguardo non viene catturato da un particolare del mio viso. Un particolare che non era assolutamente visibile stamattina sul mio volto poiché ricoperto da quintali di fondotinta.

Un piccolo, quasi impercettibile livido violaceo sono sicura che emergeva sul mio volto pallido di quel momento. Quasi come a urlare "ehi guardami, sono qui".

"Chi" rompe il silenzio Brian

"Voglio sapere chi cazzo è stato" sto per rispondere di farsi i cazzi suoi ma lui mi precede.

"E non te ne uscire con la scusa di aver sbattuto da qualche parte Evelyn Turner, non sei minimamente credibile". Afferma fissandomi negli occhi.

"Che ti importa?" fare la scontrosa è l'unico modo che conosco per non scoppiare a piangere. "Se sei qui immagino tu sappia anche chi è stato, quindi perché me lo domandi?"

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