(20) Altri guai in vista

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Toji in quel momento avrebbe potuto pensare a tante cose del tipo "E adesso che questa qua è triste io chi mi scopo" oppure "Chissà quando si riprende, così ricomincio a farmela", ma pensieri come questi non l'avevano neanche toccato. Toji stesso era stupito di come la sua testa stesse lavorando sempre più in maniera diversa da quando tu eri entrata definitivamente nei suoi pensieri, come se riuscissi a cambiare pian piano ogni piccolo ingranaggio del suo cervello, in maniera così dolce da non permettergli di notarlo.
È vero, quando ti aveva vista piangere ha provato un senso forte di fastidio, quasi nausea, ma poi il suo corpo si era mosso da solo ed improvvisamente era lì, dietro di te, a cercare un modo per migliorare la situazione. Nel toccarti, anche solo con una mano, gli erano venute in mente le immagini dei vostri rapporti, ma le aveva represse subito, una per una.
Si era reso conto che non voleva pensare a quello, per una volta desiderava essere serio, con te.
Quindi adesso sta pensando, è ancora a casa sua, appoggiato di schiena al bancone della cucina, già preparato per il lavoro ma non pronto per affrontare la giornata, non dopo una nottata passata in bianco a pensare. Toji si stopiccia gli occhi con indice e pollice della mano sinistra, quasi come volesse cancellare dalla retina e dalla memoria i ricordi di ieri sera.
Stacca la mano dal suo volto, sconfitto di non essere riuscito nel suo intento, e prende un sorso dalla tazza del caffè.
Prova un senso di incompletezza, qualcosa che manca per risolvere la situazione, qualcosa che può fare solo lui. Gli causa un nodo alla gola che gli toglie persino la fame, cosa abbastanza insolita.
Non sa che fare, o meglio lo sa ma non vorrebbe arrivare a quello. Al contempo però è consapevole che se c'è un modo per scacciare via quelle brutte senzazioni e per togliersi definitivamente un peso dal petto quello è il momento.
"Ah" fa un sospiro pesante, un suono gutturale e profondissimo, sinonimo perfetto del suo fastidio misto all'indecisione. Urla un "Merda" e poi scaglia la tazza di thè nero, che teneva in mano fino ad un attimo prima, dall'altra parte della stanza. Il suono della ceramica che si rompe in mille pezzi lo riporta alla realtà. 'Come se sfasciare tutto potesse aiutare, Toji devi calmarti e risolvere questo problema alla radice'. Lo pensa, poi ci ripensa, solo alla fine trova la soluzione. Prende il cellulare e chiama la sua assistente solo per dirle poche parole: "Oggi non ci sono a lavoro, ho da fare. Manda qualcuno a pulirmi il salotto" le chiude in faccia senza neanche aspettare risposta, non le ha neanche permesso di salutarlo con il suo solito 'Buongiorno' cordiale.
L'uomo ripone di nuovo il telefono in tasca mentre con grandi falcate va all'ingresso, dove prende il suo cappotto ma non la valigetta da lavoro.
Non perde tempo a guardarsi alle spalle, ma indugia lo sguardo sulle chiavi di casa che ha in mano: ora non gli serve un posto dove tornare, ma una ragione per farlo. A cosa gli servono le chiavi di casa sua? Non ci vive nessuno oltre a lui, l'abitazione non è particolarmente bella, già sa a chi andrebbe nel caso in cui dovesse morire; non gli servono le chiavi di una casa come questa, una che potrebbe essere di chiunque.
L'uomo esce di casa e butta le chiavi nella pianta che c'è all'ingresso, neanche si preoccupa di coprire il portachiavi con la terra, se vogliono entrare in casa che si accomodino pure, lì non c'è nulla che gli dispiacerebbe perdere.
Forse è questo quello che pensano le persone prima di suicidarsi, guardano intorno a loro cercando di distaccarsi da tutto e da tutti, ma c'è sempre quel dettaglio che gli fa ricordare la persona giusta nel momento sbagliato, proprio quando il cappio già gli stringe la gola, proprio quando hanno già fatto quello che non dovevano.

"Dottoressa" qualcuno ti scuote dalla spalla "Dottoressa la vogliono in sala 5, è urgente, si svegli".
Apri gli occhi capendo subito dove ti trovi: sei in ospedale, più precisamente nella camera di Maki. La guardi per un po', desiderando che si svegli ancora e ti preghi con gli occhi di rimanere lì con lei. Lo sai che non accadrà, sei rassegnata al fatto di dover aspettare, di dover rispettare i suoi tempi. Deve aver fatto un grande sforzo prima, poveretta. Anche quando vi eravate conosciute le ci era voluto del tempo per aprirsi e-'No, non pensare, rimani lucida e fredda oppure oggi non ce la farai' hai ragione.
"Chi mi vuole?" chiedi allo strutturato davanti a te, con un tono di chi è pronto ad affrontare qualsiasi cosa pur di portarla a termine in fretta. È vero, non hai tempo da perdere, vuoi tornare il prima possibile in questa stanza, ma infondo infondo speri che ci sia qualcosa di difficile da fare, che ti tenga impegnata abbastanza da farti quasi dimenticare le ultime sette ore.
"È il dottor Kenjaku, la vuole per un consulto veloce. Sta avendo qualche problema con il paziente, pensa che gli esami non siano stati svolti bene".
Chiudi chi occhi e ti massaggi la fronte, la testa ti sta per scoppiare e qualche insulto rischia di uscirti dalla bocca.
"Sì, digli che arrivo subito, il tempo di mettermi la cuffietta in ascensore".
Vedi annuire il ragazzo di fronte a te prima che se ne vada.
Hai avuto occasione di sentir parlare di questo fantomatico Dottor Kenjaku, uno dei primari dell'ospedale, neurologo portentoso e inspiegabilmente più maturo rispetto alla sua età, come se avesse vissuto per secoli acquisendo un'enorme esperienza.
Sa tutto di tutti, usa ogni pettegolezzo a suo vantaggio; ti chiedi se voglia davvero un consulto o soltanto verificare la veridicità di alcune voci di corridoio che ti riguardano.
Sospiri, non hai tempo di pensarci, già la testa ti fa male, probabilmente colpa dei forti singhiozzi che ti hanno scossa per un'ora o due in totale.
"Andiamo da questo dottor Kenjaku, Maki tu non ti muovere eh" avresti voluto ridere, ma un sorriso triste ti si dipinge sul viso rigato ancora dall'ombra delle lacrime: Maki non ha mai riso alle tue battute, però quando le piaceva il tuo umorismo sbuffava con un piccolo cipiglio divertito sul volto, ne era prova la piccola rughetta che le si formava tra le sopracciglia. Questa ragazza è sempre stata troppo pensierosa, troppo responsabile, troppo impegnata a prendere i problemi altrui sulle proprie spalle per poter ridere.
"Maki" sussurri appoggiandoti con uno mano allo stipite della porta "Maki quando ti sveglierai di nuovo giuro che ti farò ridere così tanto da farti stare male".

Conteggio parole: 1160

Rieccoci con un nuovo capitolo, sto portando avanti questa parte di dolore e sentimenti negativi anche se per me è molto difficile; lo farò ancora per un po' quindi preparatevi.
Scusami tanto Maki.
Alla prossima.

🌛 La vostra Maddy 🌜

La mia disgrazia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora