8. Sciarpa

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Stiles è sempre stato un bambino molto intelligente e sapeva di esserlo: sua mamma glielo diceva sempre così come le maestre. Però c'erano delle cose che proprio non riusciva a capire come il motivo per cui sua madre si era ammalata ed era morta lasciando lui e suo padre da soli o perché suo padre avesse deciso di adottare un altro ragazzo. Derek era antipatico e, soprattutto, non voleva stare in casa con loro. Era rimasto da solo dopo un grosso incendio che aveva ucciso tutta la sua famiglia e da solo sembrava voler rimanere: Stiles aveva perso il conto di quante volte Noah era dovuto uscire di casa nel cuore della notte per andarlo a recuperare o di quante volte Derek era tornato a casa ubriaco o pieno di lividi. Noah aveva dimostrato una pazienza infinita mentre Stiles... Stiles ci aveva provato davvero a diventare suo amico ma Derek non lo aveva mai calcolato. Nemmeno era certo sapesse il suo nome visto che lo chiamava sempre e solo piccolo mostro. Stiles lo odiava e aveva sperato così tanto che sparisse dalla sua vita che quando Derek non era tornato la mattina del suo ventesimo compleanno Stiles aveva esultato. Noah all'inizio aveva provato a cercarlo ma poi si era arreso ed erano tornati ad essere solo loro due. Tutto quello che poteva ricordare la presenza di Derek in quella casa era sparito tranne una vecchia sciarpa rimasta dimenticata sull'attaccapanni all'ingresso. Stiles non l'aveva mai toccata fino a dimenticarsi a chi appartenesse.

*

"Hai preso tutto?"

"Sì, papà. E quello che manca me lo spedirai tu."

Stiles ormai ha quasi trent'anni e un lavoro fisso a New York. Finalmente si è potuto permettere un appartamento tutto suo ed è tornato a Beacon Hills per preparare tutto quello che Noah avrebbe dovuto spedirgli per la nuova casa. "Hai qualcosa di caldo, vero? L'inverno di New York non è come da noi."

Stiles sbuffa. "Sono quasi dieci anni che vivo là, so com'è l'inverno."

"Va bene. Ma copriti!"

"D'accordo" risponde appoggiando gli occhi su quella vecchia sciarpa appesa all'ingresso. Stiles la prende e la infila nel borsone.

Quando mette piede a New York e poi il taxi lo lascia sotto casa, Stiles si ritrova a fissare il portone del palazzo, le mani sui fianchi e circondato da due valigie grandi e svariati scatoloni. “E io ora come vi porto su da solo senza rischiare di rimetterci la schiena e senza lasciare una di voi giù ad aspettarmi col rischio che qualcuno vi prenda?” sussurra tra sé e sé, come stesse parlando con le valigie.

“Devi entrare?”

È un uomo a chiederglielo, mentre tiene aperto il portone che ha aperto per uscire.

Stiles si ritrova a sorridergli. “Beh, se me lo tiene aperto mentre le porto almeno dentro, sarebbe già qualcosa, poi cerco di capire se entra tutto nell’ascensore.”

“Se è lo stesso ascensore da cui sono uscito, ne dubito altamente. Vuoi una mano a portarle su?”

Stiles lo guarda bene: sembra un professionista col suo completo elegante verde scuro, camicia bianca senza cravatta. Deve avere tra i trentacinque e i quarant’anni al massimo ed è davvero un bell’uomo.
“Abito al sesto piano” sussurra con una smorfia. “Forse lei con quei muscoli ce la fa pure, ma io gradirei l’ascensore.”

Stiles si maledice mentre lo sta dicendo, ma ormai il filtro è saltato.

“Posso aspettare qui con le tue cose, mentre tu fai più viaggi per portarle su. Giuro che non ti rubo nulla. Però vado un po’ di fretta, quindi prendere o lasciare.”

Stiles prende un respiro e al massimo si ritroverà senza vestiti. “Va bene, salgo prima con le scatole e poi con le valigie. Faccio in fretta, grazie!”

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