✧ Capitolo Undici ✧

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Era una sera di pioggia.

L'acqua batteva con forza sui vetri delle finestre, e di tanto in tanto la luce dei fulmini squarciava il buio della notte.

Un tuono fece vibrare le pareti in legno della casa, o forse erano solo le voci dei due che vi stavano litigando all'interno.

In un angolo della stanza, da una piccola culla di legno, proveniva il pianto spaventato di un bambino.

«Non voglio più sentire niente di queste assurdità.» Tagliò corto Reina, i lunghi capelli castani legati in una treccia dietro la schiena.

L'uomo davanti a lei scosse la testa. Zelda non riusciva a vederlo in volto, ma sembrava esasperato.

«Perché non vuoi ascoltarmi?» Le domandò lui. «È da quando Kith è nato che faccio ogni notte lo stesso sogno...»

«Sì, lo so qual'è questo sogno.» Controbattè lei, stizzita. «Eroi e spiriti di lupi, grandi imprese e prove di coraggio, mio figlio scelto da chissà chi per essere portato al castello di Hyrule e compiere il suo destino. Ma non senti quante assurdità vai dicendo?»

L'uomo rimase in silenzio per qualche istante.

«Kith è anche mio figlio.» Sottolineò lui, con la voce tesa. «E l'unico motivo per cui mi dai contro è perché credi a quella schifosa propaganda che sta facendo il clan Yiga per irretire nuovi seguaci.»

«Vorresti dire che non hanno ragione?» Lei alzò notevolmente il tono di voce. «Ogni disgrazia che nei secoli si è abbattuta su Hyrule ha a che fare con la famiglia reale: sono maledetti, e a noi del popolo tocca espiare le loro colpe.»

«La famiglia reale ha trasformato una terra vuota nel regno prospero che vediamo oggi. Il male che vi si abbatte non è colpa loro, ma delle entità malvagie tanto amate dai tuoi amici Yiga.» Prese un lungo respiro. «Domani devo tornare a palazzo. Ora che è appena nata la principessa, il re e la regina hanno bisogno di tutte le loro guardie. Kith verrà con me.»

Il pianto del bambino, mescolato al rumore dei tuoni e della pioggia, si fece più acuto e insistente.

Il cavaliere fece per avvicinarsi alla culla, ma la moglie gli sbarrò la strada mettendosi fra lui e il bambino.

«Tu non lo porterai via da me.» Gli sibilò contro la donna, con una durezza tale da rasentare la follia.

«Tu sei diventata pazza, Reina.» Anche se Zelda non riusciva a vederlo in viso, qualcosa le fece capire che la sua espressione era sgomenta. «Abbiamo atteso questo figlio per anni, e ora lo tratti come se fosse di tua proprietà. Non puoi nasconderlo dal mondo.»

«Io sono sua madre, tocca a me decidere cosa è meglio per lui! Non diventerà carne da macello al servizio di quei dannati reali.» La donna sollevò il bambino dalla culla, avvolto ancora nella propria coperta, e se lo mise in braccio. Quello piangeva disperato. «Tu tornatene al castello. Io me ne ne vado con Kith.»

Stavolta toccò a lui sbarrarle la strada con il proprio corpo.

«Se vuoi scappare con mio figlio, dovrai passare prima sul mio cadavere.»

Zelda avvertì che qualcosa, tra i due, era irrimediabilmente andato in frantumi. Passarono minuti interminabili, in cui sostennero a vicenda l'uno lo sguardo dell'altra. Si guardavano con un odio profondo, un odio che solo chi si era amato era in grado di provare.

La donna, il bambino ancora stretto tra le braccia, si avvicinò a passi misurati al piano della cucina.

Tirò fuori un coltello dal manico in legno da uno dei cassetti, di quelli affilati che si usavano per tagliare la carne dura della selvaggina.

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