Ricordi

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Liv
Da quanto tempo ero nel regno di Hel?
Non potevo saperlo, non c’erano orologi o cose del genere, lì. Il telefono era ovviamente spento, non funzionava.
Decisi di rileggere la lettera di Aren, così tante volte che potevo ormai recitarla a memoria.
Mi mancava, terribilmente.
I suoi occhi, il suo sorriso, le sue labbra.
Il suo: “Buongiorno, principessa!” che migliorava le mie giornate. Volevo rivederlo, dirgli che lo amavo.
Tra le mani esaminavo, con cura, il fiore che mi aveva regalato. Normalmente sarebbe appassito in quel posto, ma la magia di Loki l’aveva reso immortale, eterno.
Chissà come si sentiva in colpa, in quel momento.
Probabilmente quei due litigavano, mentre io leggevo la lettera, su chi avesse più responsabilità in questa faccenda. Sorrisi, realizzando che, in realtà, le loro liti che mi avevano sempre dato fastidio, ora mi mancavano.
Mi mancava tutto: Aren, Loki, Claire, anche gli altri dèi e addirittura i professori, quella scuola che, in poco tempo, mi aveva fatta sentire a casa.
Ironico, vero? Io portavo il nome della Vita, eppure mi mancava la mia.
Per non parlare della mia famiglia, di mia madre, di mio padre e del mio fratellino, William.
Si ricordavano di me? Sentivano la mia mancanza?
Munnin, il corvo di Odino, mi fece tornare alla realtà. Cominciò a beccare sul tavolo della dimora di Hel, che sembrava fatto quasi di ossa, su cui avevo poggiato la lettera.
Perché era ancora lì?
«Cra. Cra.» Diceva, sbattendo le ali.
Aspettava forse una risposta? Una lettera da consegnare ad Aren e Loki?
Mi guardai intorno, cercando qualcosa. Carta e penna esistono nel mondo dei morti?
«Hel, hai per caso un foglio e una penna?»
La ragazza, che camminava annoiata avanti e indietro per il castello, si fermò.
«Come, scusa?»
«Vorrei scrivere una lettera, da mandare nel mondo dei vivi.»
Hel guardò il corvo, curiosa. Alzò il sopracciglio e scrollò le spalle.
«Certo, ecco.»
E fece comparire, sul tavolo, una penna e un foglietto. Sembravano quasi morti, marci, ma potevo accontentarmi.
«Grazie.»
E cominciai a scrivere.
“Buongiorno, milord.
Non so dire in realtà se sia giorno o notte, o quanto tempo sia effettivamente passato dal ballo, ma sto bene.
Qui le giornate non passano, non ho fame o sete e il sole non sorge mai.
Fa molto freddo, ma nella dimora di Hel non si sta poi così male. Almeno posso vedere le stelle.
Non sentirti in colpa, ti prego. È stata una decisione di entrambi. La responsabilità non è stata nemmeno di Loki, è il destino che ci ha portato fino a questo punto, doveva accadere.
Dì alla mia famiglia, a Claire e a tutti quanti, se si ricordano di me, che sto bene, che tornerò.
So ciò che ha detto Hel, il concetto di un’anima per un’anima. Inutile dirlo, ma non osate fare niente di stupido. Sarei capace di tornare qui e trascinarvi nel mondo dei vivi, se fosse necessario.
E mi dispiace, se non sono riuscita a risponderti.
Ti amo anch’io, non dimenticarlo mai.
In attesa di vedere la prossima alba insieme a te,
La tua Lys ♡”
Arrotolai il foglietto e lo legai alla zampa di Munnin, con lo stesso nastro azzurro della lettera che Aren mi aveva scritto.
«Consegna questo messaggio, miraccomando.» Gli dissi, accarezzandogli la testa.
«Cra. Cra. A presto.»
E volò via, dalla finestra che Hel aveva appena spalancato per farlo uscire.
«Sei fortunata, ragazzina.»
«In che senso?»
«Per via della maledizione, tutti avrebbero dovuto dimenticarti. Mio padre e Aren, invece ti ricordano ancora.»
«Aspetta, com’è possibile?»
«I ricordi che il cuore conserva non possono essere cancellati. E la cosa mi sorprende, perché pensavo che Loki non ne avesse uno. Non ama nemmeno i suoi figli, nel modo in cui tiene a voi due.»
«Non è vero, sono sicura che vi vuole bene.» Hel rise.
Non parlava spesso dei suoi figli, questo era vero.
Oltre a Hel, c’erano anche Jormungand, un serpente grande quanto tutto il mondo, relegato nel mare del nord, e Fenrir, un gigantesco lupo incatenato con l’inganno su un’isola sperduta.
Mentre loro tre erano figli di una gigantessa, Angrboda, due gemelli, Narvi e Vali, erano figli di Sigyn.
Loro vivevano nella scuola insieme a noi, anche se non interagivano spesso con gli studenti: preferivano giocare nel cortile.
Narvi aveva i capelli rossi, come Loki, mentre Vali biondi, come quelli della madre. Li portavano lunghi, seguendo la moda che c’era tra gli dèi. I loro occhi erano verdi, un po’ strambi, come quelli del padre.
Avevano l’età di mio fratello, più o meno 10 anni.
Questo vuol dire che Asgard, in realtà, non l’avevano mai conosciuta.
Chissà com’era, la cittadella degli dèi. Me la immaginavo tutta dorata e splendente, con il ponte dell’arcobaleno che precedeva le grandi e imponenti mura.
Loki me ne aveva parlato, una volta, con grande nostalgia. Ovviamente quando era ubriaco.
«Non avrei mai pensato che Asgard mi sarebbe mancata. Sai, i prati verdi della pianura Ida, la collina su cui sorgeva casa mia, le grandi dimore degli altri dèi che toccavano il cielo. No, quelle non mi mancano. Io non ne avevo una, non so perché.»
Io gli chiesi dove si trovasse la pianura, e lui rise.
«Ma come, il ragazzino non te l’ha raccontato? Separa Asgard dagli altri mondi, ed è molto grande. La via più semplice per viaggiare è ovviamente il ponte arcobaleno, il Bifrost. Anzi no, era. È stato distrutto.»
E ogni volta che si nominava il momento in cui gli dèi erano stati intrappolati nella scuola, cadeva un silenzio imbarazzante.
Ripensai a tutti quei pomeriggi passati nella biblioteca, con Aren, a cercare altri libri che parlassero della leggenda, dei nostri antenati.
A volte i tavolini erano troppo scomodi, così ci stendevamo per terra, con le gambe poggiate agli scaffali, e leggevamo le trame dei libri che ci capitavano sottomano.
Spesso restavamo anche oltre l’orario di chiusura.
Non eravamo più alla ricerca di qualcosa sulla profezia, la realtà era che ci piaceva stare lì, insieme.
«Guarda Lys, questo è nuovo. Si chiama “La canzone di Achille”»
«Mhmh. Leggi la trama.»
«Parla della storia d’amore tra Achille e Patroclo! E la prof di italiano diceva che erano cugini.»
«La Cooper dovrebbe parlarci di italiani come Galilei, dato che insegna in un’università di astronomia. Che senso ha studiare l’Iliade?»
«E io che ne so. Però sembra interessante.»
«Ragazzi, dovrei chiudere.» ci interruppe la signora Fernsby.
«Si certo, andiamo via subito.» Disse Aren, tornando in piedi con un balzo. Poi mi porse la mano.
«Viene con me, principessa?»
«Certo, mio principe.» E andammo via,  ancora mano nella mano, salutando la bibliotecaria che non smetteva di sorridere.
I ricordi, nel regno dei morti, erano tutto ciò che mi rimaneva.
Frammenti di memoria incisi nel mio cuore.
E se questo valeva anche per Aren e Loki, di una cosa ero certa: nessuna maledizione avrebbe potuto allontanarci.
Rivolevo indietro la mia Vita, avrei fatto di tutto per ottenerla.
«Hel, voglio tornare a casa.»
Lei rise nuovamente: «Stai impazzendo? Lo sai che non è così semplice.»
«E chi ha detto che lo sarebbe stato?»
«Sei audace, ragazzina. Ma non puoi fare nulla.»
«Il giorno in cui non farò niente, i mondi finiranno.»
«Ma tu sopravviverai.»
«Appunto. Tutto il resto brucerà.»

Ringrazio tutti i lettori!
Spero che la storia vi stia piacendo.
Se avete qualche consiglio, non esitate a scrivermi!
Maira

Evara - Il dono di un dioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora