Liv
E mentre il mio soggiorno nel regno di Hel proseguiva, io cominciavo ad annoiarmi.
Ero chiusa in quel castello tutto il tempo, perché fuori la temperatura era insostenibile e le anime dei morti, curiose, non mi lasciavano in pace.
Munnin continuò ad essere il mio “piccione viaggiatore”, l’unico legame che avevo ancora con il mondo dei vivi, ma era sempre più lento. Ogni volta mi chiedevo se si fosse perso, se gli fosse successo qualcosa.
Hel a volte usciva e si faceva un giretto, ma diventava sempre più silenziosa, cupa, preoccupata.
«Hel, ma non ti annoi a passare l’eternità qui?»
Lei rise. Come per la risata di suo padre, non sapevo se fosse contagiosa o inquietante.
«Certo che mi annoio, ma non ho scelta. Come te, d’altronde. Comunque torno subito, vado a vedere se là fuori è tutto ok. Tu resta qui, è un ordine.»
«Va bene.» Dissi, sbuffando.
Uscì, chiudendo la grande porta di legno marcio dietro di sé. Mi ero stancata di stare lì dentro, volevo fare qualcosa di diverso.
Poi realizzai di essere ancora vestita come la sera del ballo: il mio vestito, il corsage al polso e anche i miei capelli erano perfettamente intatti. Avevo solo una pelliccia un po’ puzzolente che mi teneva al caldo, ma questo non bastava per affrontare ciò che si trovava all’esterno.
E mentre guardavo le stelle dalla finestra, chiedendomi se quello sarebbe stato il paesaggio che avrei visto per sempre, arrivò Munnin, che atterrò sul davanzale senza alcuna grazia. Non sembrava messo molto bene, forse il viaggio questa volta era stato più difficile.
Aprii la finestra per farlo entrare.
«Cra. Cra. Leggi.»
E sollevò la zampetta su cui era legata la lettera di Aren.
«Ciao anche a te, Munnin. Com’è andato il viaggio?» Presi il biglietto, sorridendo.
Ma appena lo aprii, una luce verde mi invase. Era così abbagliante che dovetti chiudere gli occhi. Quando li riaprii, vidi che i miei vestiti erano cambiati. Ora indossavo una sottoveste di lino con le maniche lunghe, e sopra un abito blu scuro di lana, munito di bretelle e fermato con due spille dorate, su cui erano incisi due serpenti intrecciati. I tacchi si erano trasformati in due stivali neri di pelle, con pelliccia all’interno. Avevo anche un mantello color porpora, con il cappuccio, così grande che per poco non mi arrivava alle caviglie.
I miei capelli erano raccolti in una morbida treccia, che mi ricadeva sulla spalla.
Mi sentivo come una vichinga. Poi un’altra lettera comparve davanti a me, con la solita luce verde che la contornava.
“Ciao, ragazzina! Ti è piaciuto il mio regalo?
Ho pensato che forse lì avresti sentito freddo, con quell’outfit decisamente inadeguato. Non so se questo nuovo look sia di tuo gradimento, ma è l’unica moda che conosco. Tranquilla, non resterai nel regno di Hel tanto a lungo. Cercheremo in ogni modo di riportarti indietro, anche perché il ragazzino senza di te sta diventando insopportabile…e mi manca dar fastidio alla mia coppietta preferita.
Non abituarti troppo a tutto questo sentimentalismo,
il Tuo Divino Angelo Custode”
Era da tanto che non usava quel soprannome. La sua stella brillava di più nel cielo, mi piaceva pensare che in qualche modo Loki mi vedesse, che vegliasse su di me.
I suoi poteri erano limitati, eppure, per me, era il dio più forte. Forse anche più di Odino.
Ma c’era ancora la lettera di Aren, da leggere.
“Ciao, principessa!
È ormai inutile scrivere buongiorno o buonanotte, credo che per te non faccia molta differenza.
Non so quanto tu abbia aspettato per leggere questa lettera, Munnin sta riscontrando qualche problema durante i viaggi, ma non voglio farti preoccupare, ti spiegherò tutto quando sarai tornata.
Qui è già passato un mese, anche se, da quando te ne sei andata, per me è difficile misurare il tempo.
Ogni mattina, senza te che bevi il tuo cappuccino, è come se iniziasse nel modo sbagliato.
Ogni pomeriggio, al bar, non è più divertente prendere in giro Loki se non ci sei tu a ridere di noi.
È arrivato il ballo, ma io so di aver già trascorso tutto questo insieme a te e non mi interessa se, in quella maledetta notte, il calendario ha deciso di voltare pagina e tornare all’inizio di tutto.
Più che inizio a noi sembra una fine…non ci resta che aspettare il tuo ritorno e impegnarci affinché avvenga. Ogni cosa ha una fine, è vero, ma per portare rinascita, rinnovamento.
E la nostra rinascita avverrà presto, perché se non ci sei tu, con i nove mondi sono disposto a bruciare anch’io.
Ricorda anche che non siamo poi così lontani, se vediamo lo stesso cielo, le stesse stelle.
La luna riflette la luce del sole o la tua?
Credo di conoscere già la risposta, ma aspetto la sua conferma, milady.
Il tuo Occhio di Falco♡”
Le sue lettere erano l’unica cosa in grado di tirarmi su di morale, in quel periodo.
Sorrisi, riponendola nella tasca del mio nuovo mantello, insieme alle altre.
Avevo paura di quello che lui e Loki avrebbero fatto, per riportarmi indietro.
Entrambi tendevano a preoccuparsi prima degli altri e poi di se stessi e non sapere cosa stavano tramando mi mandava fuori di testa.
Mi fidavo di loro, con tutta me stessa, ma allo stesso tempo non volevo che il nostro errore causasse danni ad altri: “un’anima per un’anima” aveva detto Hel.
E chi avrebbe preso il mio posto? Nessuno si ricordava di me, ad eccezione di Aren e Loki. Era tutto nelle loro mani, ma li conoscevo bene, non ero disposta a tornare nel mondo dei vivi senza uno di loro.
Dovevo saperne di più. E chi meglio dei morti, anime sagge che vagavano in quel posto, poteva aiutarmi?
Va bene, poteva essere pericoloso ed Hel mi aveva dato solo una regola: non uscire di lì.
Ma le regole sono fatte per essere infrante, no?
La conoscenza poteva essere pericolosa, ma mi ero ripromessa di non chiedere troppo.
Mi incamminai verso la porta.
«Cra. Dove vai?» Chiese Munnin, girando la testa.
«A fare un giro. Vuoi venire con me?»
«Se proprio insisti. Cra. Cra.»
E volò sulla mia spalla.
La grande porta di legno non era chiusa a chiave, ma era molto pesante. Dopo qualche sforzo riuscii ad aprire uno spiraglio e uscire di lì.
Non mi sarei allontanata troppo e, in ogni caso, avevo Munnin con me.
Un forte vento ci invase, per poco il pennuto non volava via.
«Cra! Che brutta idea.» Disse, agitando le ali.
«Puoi tornare dentro, se vuoi.»
«Scherzi! Cra! Quei due mi spennano, se ti succede qualcosa. Cra. Cra!»
Sorrisi. Aveva così paura di Aren e Loki?
Ma la mia espressione presto cambiò. Le anime dei morti cominciarono ad avvicinarsi, incuriosite.
Cercai di stare calma, anche se erano davvero inquietanti.
Mi feci strada tra di loro, cercando di guardarli meglio e magari di riconoscere qualcuno.
Allungavano le loro braccia ossute, cercando di toccarmi.
Pensai che, essendo simili ai fantasmi, potessero in qualche modo passarmi attraverso o, almeno, non avrei sentito il loro tocco, come succedeva con gli dèi nella scuola: potevano toccarci, non erano del tutto immateriali, ma noi umani non avremmo percepito nulla e nemmeno loro. Loki me lo spiegò quando, una volta, provai ad abbracciarlo. Oltre ad odiare gli abbracci, mi disse che non sentiva nulla e che questo era l’effetto della maledizione che gli piaceva di più.
Il tocco dei morti invece si sentiva. Nonostante il mio abbigliamento pesante, per poco non urlai quando sentii una delle loro mani fredde e scarne sulla mia spalla.
«Fifona. Cra.»
«Zitto, oppure mi assicurerò che Aren e Loki ti arrostiscano per bene.»
«Cra! Che cattiveria!»
E poi due anime mi si avvicinarono, più lentamente rispetto alle altre. Sembravano due uomini piuttosto anziani e procedevano insieme. Uno di loro parlò.
Aveva dei capelli corti, forse un tempo neri, e degli occhi molto vispi.
«Synkende?» Chiese.
Sollevai un sopracciglio. Che parola era?
«Synkende?» Disse di nuovo.
«Munnin, riesci a capire cosa dice?»
«No. Cra. Ma forse lo conosco. Vecchio, parli di un certo Aren? Cra!» Urlò, per farsi sentire.
I due si fermarono.
«Synkende!» Disse, annuendo.
«Cosa c’entra Aren adesso?»
«Cra! Aspetta.»
Anche l’altro parlò. Anche lui portava i capelli corti, sembravano quasi bianchi. Era un po’ più basso del compagno e sorrideva.
«Scusatelo, ormai non riesce più a parlare come si deve. Ake, smettila! Questa ragazzina non è di certo la tua discendente.»
Ake?
«Synkende!» Disse ancora, indicandomi.
«Aspetta, tu intendi Aren, vero? Aren Lavigne?»
Il vecchietto annuì, sorridendo. L’altro aggrottò le sopracciglia, o quel che ne rimaneva. Erano messi meglio rispetto alle altre anime, chissà perché.
«Allora tu devi essere Liv.»
Sgranai gli occhi. Potevano essere loro?
«Si…Voi siete Ake ed Erik?»
«Ma certo che siamo noi! Ragazzina, sono il tuo trisnonno!»
Non sapevo se ridere o piangere.
«Come fai a sapere chi sono? E perché tu parli bene la mia lingua, mentre lui no?»
Erik rise. Non so se si potesse ben definire risata, quella di un morto.
«Noi sappiamo ogni cosa, mia cara. Le anime dei defunti sono più sagge di quanto credi. Ake parla, ma ricorda soprattutto parole norvegesi. Ti ha sentita nominare Aren, il suo successore.»
«Synkende!» E mi indicò di nuovo.
«Sì, lei è la mia discendente.» Gli disse, con calma. Poi tornò a rivolgersi a me: «Ti trovi qui per colpa nostra, vero? Nonostante la profezia, speravo che voi decideste di non ballare quella canzone.»
«È stata una nostra scelta. Volevamo liberare gli dèi.»
«Molto divertente, sicuramente Loki vi ha aiutati.»
«Loptr. Juksemaker!» Disse Ake, ridendo.
«Scusa ma…cos’ha detto?»
«Dice che Loki è un imbroglione. Non ha tutti i torti.»
«Quindi voi conoscete gli dèi? Siete rimasti nella scuola anche dopo che la maledizione li ha imprigionati?»
«Certo! Nessuno ha mai scoperto del nostro bacio, ma hanno dato colpa alla canzone che avevamo scritto e il libro è diventato proibito. Probabilmente avrebbero dovuto controllarlo meglio.» Disse Erik, facendomi l’occhiolino.
«Cra! Infatti.» Rispose Munnin, beccandomi sulla testa.
«Ahia! Questo non era necessario.»
Erik alzò un sopracciglio.
«Tu sei Munnin, vero? Uno dei corvi di Odino. Cosa ci fai qui?»
«Cra! Memoria persa, il frassino trema.»
Questa era nuova. A cosa si riferiva?
«Allora si mette male. Non manca molto.»
«A cosa?» Chiesi, preoccupata.
«Al Ragnarok, no? Il frassino è Yggdrasil, l’albero della vita. Munnin, la memoria del Padre di Tutti, si è perso per via della maledizione. Tu sei Vita, dovresti sopravvivere eppure sei nel regno dei morti. Questo non va bene.»
«Verdens ende!» Gridò Ake.
«Si, la fine del mondo.» Rispose Erik, roteando gli occhi.
Sospirai. Dovevo andare via, ma non potevo fare nulla.
Potevo solo aspettare che Aren e Loki offrissero una nuova anima a Hel.
Provai a cambiare discorso.
«Ma lui parla solo norvegese? Non conosce altre lingue?» Chiesi, indicando Ake.
«Conosce anche l’inglese e il francese. Viene dalla Normandia, come Aren, ma preferisce parlare il norvegese. In quella regione solo poche persone conoscono ancora questa lingua o venerano gli antichi dèi norreni, quasi tutti sono cristiani o di religioni monoteiste. La famiglia di Ake invece, da generazioni continua a portare avanti la tradizione vichinga. Sai come ci sono arrivati i vichinghi, in Normandia?»
«No.» Dissi, sollevando un sopracciglio.
«Intorno all’800 il loro popolo era in continua espansione, arrivando ad invadere anche il nord della Francia. Dopo continue incursioni e devastazioni, nel 911 il re Carlo III il Semplice decise di cedere Rouen e i distretti vicini a Rollone, il capobanda vichingo che da tempo operava in quel luogo, ma gli furono imposte due condizioni: lui e i suoi uomini dovevano essere battezzati e proteggere il territorio dalle altre invasioni vichinghe. Tutti accettarono, tranne uno: il guerriero Ake, poi soprannominato Anker, che significa ancora, perché decise di rimanere legato alla sua religione e cultura. Fu allontanato dai suoi compagni ma continuò a vivere a Rouen con sua moglie, anche lei una guerriera, che l’aveva spesso accompagnato durante le spedizioni. Educarono i loro figli secondo i princìpi vichinghi, tramandati da generazione in generazione. Come avrai già capito, è l’antico antenato di Ake Lavigne, questo vecchietto accanto a me, e del tuo Aren.»
Rimasi a bocca aperta.
«Cra! Bella storia. Mi stavo addormentando. Cra.»
«Antipatico come sempre, pennuto.» Rispose Ake. Questa volta non in norvegese.
«Finalmente dici qualcosa di sensato, vecchio mio! Non potevi parlare normalmente dall’inizio, invece di farmi fare da traduttore?»
«Sarebbe stato meno divertente. Guarda la faccia della ragazzina, l’hai traumatizzata.»
«Nono sto bene, cerco di metabolizzare.»
I due guardarono dietro di me, spaventati.
«Cerca di metabolizzare dentro la mia dimora, la prossima volta.»
Mi voltai. Hel era dietro di me, a braccia incrociate.
«Ah, ciao Hel! Sei già di ritorno?» Chiesi, facendo finta di nulla.
«Credevi che non ti avrei scoperta, se fossi uscita senza il mio permesso? È il mio regno.»
«Noi ce ne andiamo, eh! Alla prossima, ragazzina! Dì ad Aren di rispettare di più gli dèi!» Disse Ake, mentre si allontanava. Se la dea della morte non si fosse trovata davanti a me, probabilmente avrei riso.
«Non sia troppo dura con lei, padrona.» Aggiunse Erik, per poi raggiungere il suo compagno.
Gli lanciai un’occhiataccia, mi avevano lasciata da sola con lei e un corvo antipatico.
Hel mi fece cenno di seguirla e, insieme, rientrammo nel castello.
«Non ti piacciono proprio le regole, vero?»
«Ero solo curiosa, non ho fatto niente di male.»
«Niente di male?! Hai idea di cosa sarebbe potuto succedere?» Alzò la voce. Così era ancora più spaventosa.
Guardai verso il basso, in silenzio. Era meglio non risponderle.
Poi sospirò, cercando di calmarsi, e cambiò discorso.
«Vedo che hai cambiato look. Opera di mio padre, vero?»
«Si…con quel vestito avevo freddo. Ma non uscirò più da qui, te lo prometto.»
«Ah certo, me ne assicurerò io stessa. E questa volta non risponderai al tuo amato, il corvo viaggerà leggero.»
E aprì la finestra.
Munnin mi guardò.
«Cra! Tornerò.»
«Grazie.» Dissi, accarezzandogli la testa.
E volò via.
Questa volta, senza nessuna lettera.Ringrazio tutti i lettori!
Spero che la storia vi stia piacendo.
Se avete qualche consiglio, non esitate a scrivermi!
Maira
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Evara - Il dono di un dio
Fantasy"Non ho mai saputo ballare. Non sono mai stata capace di seguire il ritmo della musica, di lasciarmi andare. «Nemmeno io so ballare, ma a chi importa?» Diceva lui. Eppure, era il miglior ballerino che io avessi mai visto. Ma forse ero un po' di part...