L'atmosfera a Londra era strana, quel giorno.
Era come se il tempo si fosse fermato.
Probabilmente era solo una mia sensazione, o forse era ciò che provavano tutti, trovandosi per la prima volta davanti alla scuola più enigmatica e affascinante della città: la Queen's Pride.
Costruita secondo il volere della regina Vittoria nel lontano 1868, sembrava un'università come le altre; tuttavia c'erano molte leggende legate a quell'istituto.
Non avevo mai voluto crederci ma, in ogni caso, avrei scoperto la verità una volta varcata la soglia dell'entrata. Ero molto fiduciosa e, allo stesso tempo, spaventata: capii il perché quando la porta d'ingresso si chiuse da sola dietro di me, appena entrai nella struttura.
L'accoglienza che mi fu riservata fu del tutto inaspettata, oserei dire stravagante: un'entità molto insolita, simile ad un fantasma, mi salutò con un cenno del capo.
Mi provocò quasi un colpo al cuore: non mi sarei mai aspettata una cosa del genere.
Era molto alto, un elmo dorato gli copriva la testa.
Possedeva inoltre una spada, elemento che certamente non migliorava l'impressione che mi ero fatta di lui.
Un corno era appeso alla sua cintura...sembrava un guerriero, o meglio: un guardiano.
Dopo alcuni interminabili secondi passati ad esaminarmi, disse, con voce grave e autoritaria: «Benvenuta alla Queen's Pride, signorina».
Al suono della sua voce per poco non feci un salto: non mi aspettavo che potesse anche parlare.
Pronunciai un «grazie» molto flebile e proseguii, cercando di metabolizzare ciò che era appena successo.
Non ne ebbi il tempo, però: appena sollevai lo sguardo mi ritrovai davanti una scena ancora più insolita.
Un altro fantasma, alto, snello e dai capelli rossi come il fuoco, stava litigando con un ragazzo.
«Non rivolgerti a me in questo modo, ragazzino. Devo ricordarti chi sono?» Esclamò lo spirito.
«So chi sei, Burlone. Proverò a chiedertelo con più calma: potresti gentilmente smetterla di darmi fastidio?» Gli rispose il ragazzo. Aveva un accento diverso. Sembrava francese.
«No, non credo che lo farò. Sono un dio, insomma, perché dovrei darti ascolto?» Continuò il fantasma, che riteneva di essere una divinità.
Ma a quanto pare si accorse che lo stavo osservando, perché si girò di scatto, posando il suo sguardo verde smeraldo su di me.
«Cos'hai da guardare, ragazzina?» Sbottò, continuando a fissarmi.
«Non spaventarla, non vedi che è nuova qui?» Intervenne il ragazzo.
Il dio gli riservò un'occhiataccia, per poi avvicinarsi alla sottoscritta.
Iniziai a indietreggiare, spaventata: speravo che quello fosse solo uno strano sogno.
Il fantasma che mi aveva accolta, però, corse in mio aiuto: «Piantala, Loki. Non terrorizziamo gli studenti, qui».
«Sei sempre il solito, Heimdall. Non sto terrorizzando nessuno, volevo solo presentarmi». Esclamò il dio, sorridendo e sollevando le braccia, in segno di resa.
Si chiamavano Heimdall e Loki, dunque. Dove avevo già sentito questi nomi?
Ad interrompere i miei pensieri fu quest'ultimo, che, forse rendendosi conto di avermi spaventata, decise bene di presentarsi con un inchino.
«Perdona i miei modi, ragazzina» Disse: «Permettimi di presentarmi. Io sono Loki, dio dell'inganno. Piacere di conoscerti».
All'improvviso non provavo più paura. Anzi, ero curiosa.
«Il piacere è mio, Loki. Mi chiamo Liv» Risposi, un po' imbarazzata.
«Vedi? É così che ci si rivolge a un dio, insulso ragazzino» Disse Loki, con un tono di rimprovero, al ragazzo di prima, che era rimasto ad osservare la scena.
Quest'ultimo roteò gli occhi, voltandosi verso di me: «Presto scoprirai che averlo conosciuto, più che un piacere, è stata una condanna» Mi sussurrò.
Il dio gli fece una linguaccia e, fingendosi offeso, andò via. Era molto buffo, mi fece sorridere.
Anche il ragazzo sorrise, continuando a parlare: «Mi chiamo Aren Lavigne, comunque» Mi tese la mano, presentandosi.
«Io sono Liv, Liv Amery» Dissi, stringendogli la mano: «Anche se probabilmente già lo sai».
Aren sorrise: «Già, hai un bel nome. Non è stata l'accoglienza migliore di tutti i tempi, vero?»
«Decisamente» Risposi, con una risata nervosa.
In quel momento mi resi conto che, distratta dalla situazione, non mi ero soffermata a guardarlo bene. Era un po' più alto di me, portava i suoi lunghi capelli neri raccolti in un codino e aveva uno sguardo vivace, di un azzurro intenso: probabilmente mi ero incantata a fissarlo perché, dopo qualche secondo, agitò la mano per attirare la mia attenzione.
«Ehi, sei ancora qui?» Disse, ridendo.
Tornai immediatamente alla realtà, imbarazzata.
«Si, scusami. Ero un attimo persa nei miei pensieri» Avrei voluto dire i suoi occhi.
«Sapresti dirmi cosa ci fanno dei fantasmi in una scuola?» Chiesi, curiosa.
«Non sono fantasmi, sono dèi» Disse, provando a nascondere una risata, senza successo: «Non conosci le leggende che circolano su questa scuola?»
«Certo che le conosco, ma non ci ho mai creduto»
Risposi, come se fosse una cosa ovvia.
«Grave errore, Lys» Pronunciò questo nome con un accento diverso, forse nordico.
«Mi chiamo Liv» Gli dissi, irritata. Ma la mia reazione sembrò divertirlo.
«Preferisco chiamarti Lys. Suona meglio»
Decisi di ignorarlo per un secondo, guardandomi intorno: la scuola era molto grande. Questi "dèi" erano d'appertutto.
Fu Aren che mi fece tornare, nuovamente, alla realtà.
«Dato che hai stupidamente ignorato le storie che si narrano su questo istituto, lascia che ti rinfreschi la memoria» Disse. Tornai a guardarlo, incuriosita.
«Questi "fantasmi" come li chiami tu, sono dèi nordici. Si dice che siano stati evocati per sbaglio, secoli fa, da due ragazzi. Uno strano incantesimo li tiene imprigionati in questa scuola» Concluse, serio.
Beh, queste erano senz'altro molte informazioni. Ma almeno ora tutto aveva un senso.
«Non c'è nessun modo per liberarli?» Chiesi, dispiaciuta.
«Al momento, temo di no» mi rispose: «Ma a quanto pare si sono ambientati bene qui. Amano combinare guai e prendere in giro gli studenti» Risi. L'avevo notato fin troppo bene. Mentre parlavamo, una dea dai capelli biondi si aggirava nei corridoi lanciando mele a tutti. Non era la prima stranezza della giornata, ma non sarebbe stata di certo l'ultima.
«Già. E quella chi è?» La indicai.
«Chi? Quella con le mele?» Si mise a ridere anche lui: «Lei è Idunn, presto ti ci abituerai. Almeno le sue mele sono buone»
Appena Aren finì di parlare, una mela gli cadde in testa. Scoppiai a ridere. Lui sembrava meno divertito.
«Ahia! Ti avevo fatto un complimento!» Disse, accarezzandosi la testa.
In tutta risposta, Idunn gli lanciò un'altra mela, colpendolo dritto in faccia. Poi si allontanò, ridendo.
Quella fu probabilmente la parte migliore della giornata. Aren continuò a lamentarsi, insultando la dea a bassa voce.
«Smettila di insultarla» Lo avvertii, ridendo: «Oppure ti colpirà ancora!»
Lui mi guardò male, addentando una delle mele. Con la bocca ancora piena, mi rispose: «Smettila, non è divertente».
«Oh, invece lo è. E impara a non parlare con la bocca piena, maleducato» Gli dissi.
Mi tirò la mela che era ancora intera. Non feci in tempo a rispondere, perchè fummo interrotti da una voce proveniente dall'altoparlante: «Buongiorno, studenti e studentesse, benvenuti alla Queen's Pride. Siete pregati di recarvi nella sala grande, per dare inizio alla cerimonia d'accoglienza».
«Cerimonia d'accoglienza?» Chiesi, confusa.
«Sì, è per presentare i nuovi arrivati e fargli conoscere l'istituto. Vieni, ti accompagno».
Questa scuola non smetteva mai di stupirmi.
Era come il Tardis di Doctor Who: più grande all'interno.
La sala grande era maestosa. Realizzata interamente in marmo, candido come la neve, presentava alcune colonne in quarzo rosa, scolpite secondo lo stile classico: sembrava un luogo sacro. Guardare il soffitto invece, era come osservare l'alba: il dipinto di un cielo roseo, con spruzzi di nuvole bianche che sembravano muoversi, sovrastava le nostre teste.
Grandi tavoli con sfarzose tovaglie bianche decoravano il centro della stanza, coprendo il pavimento, fatto anch'esso di marmo.
In fondo alla sala c'erano dei gradini bianchi, che rendevano più evidente il posto occupato dalla preside e dai professori. Un'aquila dorata, simbolo della scuola, dominava la parete dietro di loro, come se, con le sue grandi ali, avesse voluto proteggere anche noi.
Gli dèi invece, o meglio, i loro spiriti, non avevano un posto a sedere. Non mangiavano e non bevevano, ecco perché erano sempre così nervosi.
Aren avanzava sicuro, sempre accanto a me. Era in quella scuola da tre anni ormai, per lui era del tutto normale.
C'era qualcosa che mi affascinava di lui: tempo dopo avrei capito il perché.Ringrazio tutti i lettori!
Spero che la storia vi stia piacendo.
Se avete qualche consiglio, non esitate a scrivermi!
Maira
STAI LEGGENDO
Evara - Il dono di un dio
Fantasía"Non ho mai saputo ballare. Non sono mai stata capace di seguire il ritmo della musica, di lasciarmi andare. «Nemmeno io so ballare, ma a chi importa?» Diceva lui. Eppure, era il miglior ballerino che io avessi mai visto. Ma forse ero un po' di part...