7 anni dopo...
Liv
Ogni cosa ha un inizio e, in quanto tale, una fine.
Pensai questo, mentre ammiravo il tramonto dalla finestra.
Ma certe abitudini non finiscono mai.
«Io conosco una storia, o figli della Terra. Parlo come devo. Di come nove alberi hanno dato vita ai mondi affidati ai giganti…»
«Basta, papà! Hai già raccontato questa storia tremila volte!»
«Addirittura! E dimmi, da quando sai contare fino a tremila?» Aren scompigliò i capelli castani di Narvi, prendendolo in giro.
«Ehm…da ieri! Vali può confermarlo.» E i suoi occhi azzurri cercarono l’aiuto del fratello, che stava raccogliendo un fiore.
«Ieri sei caduto nel lago, non hai imparato a contare.» Rispose Vali, con una linguaccia.
«Bugiardo! Guarda che i gemelli si coprono le spalle.»
«Io te le ho coperte, le spalle, bagnate dall’acqua congelata del lago. Ti ho dato anche il mio mantello!»
«Non in quel senso! E poi non avevo bisogno del tuo aiuto.»
«Ehi, basta! Io volevo sentire la storia di papà!»
«Sky, la conosci a memoria.» Rispose Vali.
«E quindi?»
«E quindi è ora di andare a letto.» Dissi, sedendomi sul prato accanto ad Aren.
Nel tempo, con l’aiuto degli dèi sopravvissuti al Ragnarok, avevamo costruito una piccola casa di legno dove un tempo sorgeva la pianura di Ida.
Lì vivevamo in cinque: Io, Aren e i nostri tre figli.
Narvi e Vali erano gemelli e avevamo deciso di chiamarli come i figli di Loki, che ci mancavano tanto.
Avevano 6 anni, ma si sentivano già adulti.
La loro sorellina invece, Skylar, riusciva perfettamente a tenere testa ai due, nonostante avesse solo 4 anni.
«Io sono grande, mamma! Posso andare a dormire più tardi!» Si lamentò Narvi, come al solito.
«Ho la sua stessa età, quindi vale anche per me!» Pretese suo fratello.
«Io voglio solo sentire la storia di papà!»
Gridò nuovamente Sky, seduta sulle mie gambe, mentre io cercavo di intrecciare i suoi bellissimi capelli dai riflessi rossi.
«Se fate i bravi, vi racconto una nuova storia.»
«Davvero? E quale?!»
«Sky, cerca di stare ferma...» Le dissi, mentre lei continuava a muovere la testa.
I suoi occhietti verdi, vivaci e curiosi, erano totalmente rivolti ad Aren, in attesa di una risposta.
Decidemmo di accendere un piccolo falò, per tenerci al caldo.
Stesi sul prato, Narvi e Vali ammiravano il cielo, mentre il sole calava sempre di più e le stelle iniziarono a farsi vedere.
Erano ancora poche, rispetto a quelle che potevamo contare nel vecchio mondo.
Ma ce n’era ancora una, che splendeva più delle altre, come un fuoco ardente.
«Guarda, mamma! La stella grande!» Sky la indicò con il dito.
«Perché brilla di più?» Chiese Vali, assottigliando lo sguardo. Senza la luce del sole i suoi occhi, uno verde e l’altro azzurro, sembravano quasi uguali.
Io e Aren sorridemmo.
«Quella è Evara.»
«Chi è Evara?» Domandò Narvi.
«E che significa?» Aggiunse Vali, alzandosi.
«Significa “Dono di dio”» Risposi, cercando di ripulire i suoi capelli neri dai fili d’erba.
«E chi ce l’ha data?» Chiese Sky.
«Un dio, si chiamava Loki.» Disse Aren, con un po’ di malinconia.
«È il signore della foto? Quella che porti sempre con te.» Chiese Narvi.
«Esatto. La nuova storia parla proprio di lui…volete sapere come sono nate le stelle?»
«Si!!» Risposero, in coro.
«Allora mettetevi comodi. Più che una storia, vi sembrerà una barzelletta.»
«Quindi farà ridere?» Sky inclinò la testa di lato.
«Forse un po’, ma se sarete attenti, potrebbe anche insegnarvi qualcosa.»
Quando Aren cominciò a raccontare, il fuoco accanto a noi emise delle scintille, come se avesse voluto prestare attenzione.
Evara sembrava luccicare un po’ di più, ma forse era solo la nostra impressione.
Alla fine i bambini si addormentarono e il falò si spense, mentre noi restammo ad ammirare il cielo ancora un po’.
Per tanti anni avevamo studiato ogni suo segreto: i pianeti, le galassie, le stelle, la storia dell’astronomia e coloro che, in passato, con navicelle spaziali, telescopi o semplicemente con lo sguardo, esplorarono gli angoli più remoti del cosmo.
Dimenticare la Queen’s Pride era impossibile, con tutti i ricordi che ci legavano ancora ad essa: la sala grande, la biblioteca, il ballo, il caffè e il cappuccino che ci accompagnavano ogni mattina.
Ma anche senza quell’università che per noi era stata come una seconda casa, sapevamo di non essere soli, perché una buona stella ci avrebbe sorriso per sempre.Ci siamo, questa è davvero la fine.
Non smetterò mai di ringraziarvi per aver dato una possibilità a questa storia.
Ricordate che, nel cielo, c'è una stella che brilla per ognuno di voi.
Maira
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Evara - Il dono di un dio
Fantasy"Non ho mai saputo ballare. Non sono mai stata capace di seguire il ritmo della musica, di lasciarmi andare. «Nemmeno io so ballare, ma a chi importa?» Diceva lui. Eppure, era il miglior ballerino che io avessi mai visto. Ma forse ero un po' di part...