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Quattordicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (19 gennaio)

La sua terza visita a casa Papiria fu accolta da urla e strida e pianti e lamenti. La porta d'ingresso era spalancata, l'arpia aveva uno sguardo di rimprovero, come a dire che era inutile che l'avessero plasmata nel bronzo con quell'aspetto minaccioso se poi non le lasciavano svolgere il suo lavoro e tenere fuori gli intrusi. Ma i padroni di casa - sempre meno numerosi - dovevano essere chiaramente sconvolti dall'ennesima brutta notizia.

Livia entrò nella domus e trovò l'atrium infestato di gente. L'intera familia - padroni e schiavi e molossi - sembrava essersi riunita in un unico spazio. La povera Aurelia giaceva in mezzo a loro, negletta e dimenticata.

«Una disgrazia!» stava urlando Papiria, del tutto priva del contegno con cui l'aveva accolta solo quella mattina. «Gli dèi ci hanno maledetti! Hanno maledetto la nostra casa, la nostra famiglia, i nostri figli!» Si tirò appresso il figlioletto, stritolandolo in un abbraccio. «Piccolo mio, prego perché tu non sia il prossimo!»

Livia roteò gli occhi e contemporaneamente li alzò al soffitto. Quindi si fece avanti abbastanza da essere visibile. «Cos'è accaduto?» chiese ad alta voce.

Papiria la guardò appena, tutti gli altri la ignorarono. Solo Fabia, la moglie del senatore Cosso iunior - e ora, a quanto pareva, l'unico in vita - le si avvicinò a passetti leggeri, inchinandosi. «Nobile kyria... Il senatore Cosso è morto.»

«Questo lo so. Dov'è?»

«È...» Fabia arrossì graziosamente, diventando quasi dello stesso colore dei suoi capelli. «In un...» Si interruppe di nuovo, cercando con lo sguardo l'aiuto del marito, che però pareva totalmente assorbito dalla notizia di quella tragedia. Quindi lo sguardo di Fabia incontrò una figuretta snella che se ne stava in un angolo, fissando affascinata un prezioso vaso di alabastro. Fabia tese un braccio niveo nella sua direzione. «A casa di quella ragazza.»

Livia si avvicinò alla sconosciuta, che ritrasse immediatamente le mani dal vaso, nascondendole dietro la schiena. «Chi sei?»

«Cleopatra, domina

«L'unica e originale, immagino» ironizzò Livia.

«È solo il nome con cui mi faccio chiamare.»

Il nome d'arte era solo la conferma di ciò che Livia già sospettava. L'imbarazzo di Fabia e il modo in cui quella ragazza era vestita... o meglio, non era vestita, sotto la pesante ed economica pelliccia. «Sei una lupa. Hai trovato tu il senatore?»

«No, io dovevo solo riferire che è nella nostra casa.»

«Accompagnamici, e intanto mi racconterai tutto.»

Il senatore Cosso - iunior e unico - si riscosse all'improvviso e la mise a fuoco. «Abbiamo già mandato degli schiavi a prenderlo» disse con voce roca.

Livia si girò di scatto verso Tallio o Tezio - il Gallo che era rimasto a guardia della domus. «Fermali in nome dell'imperatore Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto!» gli ordinò, togliendosi l'anello con il sigillo imperiale e consegnandoglielo. «Che nessuno tocchi nulla fino al nostro arrivo.» Quindi si congedò dalla famiglia in lutto e fece segno alla lupa di seguirla.

«Parla» le ordinò quando furono sulla portantina in movimento.

Cleopatra si guardava intorno stupefatta, ammirando gli sfarzi dei cuscini e i rivestimenti in oro della lettiga. «Non so nulla, domina. La mia padrona mi ha solo mandata a dire ai Papiri che il senatore è da noi. E che è morto.»

«Morto come?»

«Non lo so, non l'ho visto.»

«Quando è arrivato al lupanare?»

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora