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Undicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (22 gennaio)

Livia seguiva le ampie spalle di Zosimo nella fitta boscaglia, cercando di tenere i rovi lontano dall'abito e la palla ben tesa sulla fronte per evitare che l'umidità di quella mattina uggiosa le increspasse i capelli. Aveva indossato robusti stivaletti in cuoio allacciati al polpaccio, con i quali calpestava il muschio e il fango del sottobosco, maledicendo in cuor suo di non aver voluto aspettare un'altra occasione. Ma quando le sarebbe ricapitato di trovarla sola, senza lo stuolo di parenti a complicare tutto?

Finalmente, Zosimo rallentò fino a fermarsi. Lei sbirciò oltre la sua schiena possente e vide il Gallo appostato nell'ombra. Anche lui la vide e le corse incontro, tenendosi basso per confondersi con la boscaglia.

«È ancora lì, domina» le sussurrò.

«Eccellente. Vai dagli altri.»

Tallio o Tezio - il Gallo sano, non quello convalescente a letto dopo il pestaggio subito al postribolo - non se lo fece ripetere due volte e tornò da dove erano venuti.

Livia oltrepassò Zosimo, cui chiese di seguirla a distanza, e si incamminò verso il piccolo tempietto immerso nel bosco, davanti al quale era stato scavato un pozzo. Affacciata al pozzo, silenziosa e pensierosa, c'era Fabia.

Livia le si avvicinò, lasciando che i suoi schiavi fossero inghiottiti dalla penombra. «Ave, Fabia.»

Lei si girò sorpresa. «Ave, imperatrice.» La guardò, come in attesa di una spiegazione che, in cuor suo, sapeva non sarebbe giunta. Quindi accennò al pozzo. «Anche a voi occorre l'aiuto dalla dea?»

Livia si avvicinò e osservò le oscure profondità. Quindi sollevò lo sguardo sul minuscolo tempietto che era stato costruito in prossimità del pozzo. Il santuario della dea Veritas, nascosto nel fitto del bosco sacro, difficile da raggiungere. Come difficile era sempre la strada per la verità.

Secondo il mito, Veritas era figlia di Saturno e sorella di Giove, madre della giustizia e della virtù. La sua casa era nel fondo di quel pozzo sacro che gli antichi abitanti del luogo avevano scavato in tempi immemori. Successivamente era stato costruito il tempietto alla dea dedicato ed erano state consacrate le sacerdotesse che avrebbero servito Veritas per tutta la vita, attingendo l'acqua sacra dal pozzo con un secchio di puro argento, mormorando le loro preghiere e svolgendo i loro santi rituali. Sempre secondo la leggenda, una volta bevuta l'acqua le sacerdotesse si coricavano nel tempio e lì attendevano un sogno rivelatore della verità che loro, o chi le aveva consultate, desiderava conoscere.

Sembrava proprio che Fabia volesse attingere alla verità saltando tutti quei religiosi passaggi.

Livia la scrutò in fondo agli occhi cristallini. «È per questo che siete qui?»

«Credevo che, con i giusti doni, mi avrebbe portata un passo più vicino alla verità.» Fabia fissò sconsolata la manciata di sesterzi che aveva appoggiato al bordo del pozzo. Un sistema un po' rozzo di accattivarsi la benevolenza della dea, notò Livia. Soprattutto dal momento che Fabia non sembrava decidersi a gettarli nel buco nero.

«Ed è così?»

«Purtroppo brancolo ancora nel buio. Non ho idea di chi abbia ucciso i miei suoceri.»

«Avete dei sospetti?»

Fabia emise un sorriso triste. «Anche nelle famiglie migliori germinano gli odi.»

«Voi odiavate i vostri suoceri?»

«Non c'è spazio per l'odio nel mio cuore. Ma certo avrete ormai scoperto che, piuttosto, erano loro a non stimare me.»

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora