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Nono giorno prima delle Calende di febbraio (24 gennaio)

Asclepiade visitò la sua nuova paziente e la trovò in perfetta salute, sebbene un po' debilitata dalla stanchezza e con un raffreddore incipiente. Le consigliò una minestra di cavolo e di restare a riposo e al caldo per i prossimi giorni. Era ancora all'inizio della gravidanza e qualsiasi emozione troppo forte avrebbe potuto compromettere la vita del bambino, e la sua.

Quella sera per cena si ritrovarono tutti nel triclinio informale, seduti intorno al grande tavolo di legno di noce. Per l'occasione Livia aveva invitato non solo i suoi figli - e Giulia - ma anche i due piccoli ospiti. Gaio si fiondò subito sul cibo, dimenticando le buone maniere - se mai le aveva imparate - mentre Lucio attese timoroso il permesso di Livia, prima di attaccare la gustatio di olive e tartufi.

Mangiarono in silenzio. Fabia era triste e preoccupata per la situazione familiare, Livia continuava a pensare alle implicazioni della vittoria testamentaria di Aureliana, i figli di Curzia e Balbina non pensavano che a mangiare, Tiberio non avrebbe conversato con qualcuno nemmeno se fosse stato di buon umore e quel qualcuno fosse stato il suo migliore amico, mentre Giulia si trincerava in un mutismo ribelle e astioso. L'unico che tentava di fare conversazione era Druso, che cercava di divertire i suoi nuovi amici con barzellette e giochi verbali, riscuotendo poco successo, perché i due bambini parevano più interessati ai vassoi che gli schiavi ponevano sul tavolino.

Druso provò allora a rivolgersi a Giulia, con un sorriso gentile: «Sono felice che sei tornata a casa, Giulia.»

Lei si irrigidì e non lo guardò nemmeno, ma le sue mani smisero di giocherellare con il cibo e andarono a tuffarsi nella ciotolina d'acqua fresca per ripulire le dita unte. Quindi le asciugò nella mappa e si rivolse ostentatamente a Lucio, dando le spalle a Druso.

«Da quanto sei ospite qui?»

Aveva indossato la maschera dell'allegra seduttrice, notò Livia con una smorfia. Giulia era fatta così. Aspra come fiele quando si trovava faccia a faccia con persone che non sopportava ma dolce come miele quando doveva incantare uno sconosciuto. Era la sua tecnica di sopravvivenza: crearsi quanti più alleati possibile nella sua immaginaria guerra contro la sua famiglia.

Lucio sentì gli ardenti occhi di Giulia - ora di un azzurro splendente, sotto il riflesso dei funalia - su di sé e smise immediatamente di mangiare. «Sei giorni.»

«Per quale motivo?»

Lui esitò, guardando di sottecchi Livia, che decise di rispondere: «Ho pensato che sarebbe stato bello per Druso socializzare con alcuni coetanei.»

Giulia serrò appena la mandibola, senza nemmeno guardarla, poi sorrise dolcemente a Lucio. «Non è stata una tua scelta, giusto?»

«N-no...»

«Immagino che ti manchi casa tua.» La manina sottile di Giulia si posò su quella del bambino, che arrossì fino alla punta delle orecchie. «Ti sentirai in gabbia, qua dentro. Nonostante una così pregevole compagnia.» Giulia scosse la testa, ondeggiando i lunghi riccioli biondi. «Ti sta simpatico Druso?»

Finalmente una domanda facile, per il bambino. «Sì. Molto.»

«In effetti è l'unico della sua famiglia che si salva. Anche a me manca molto la mia casa. È una cosa che ci lega.» Il sorriso di Giulia si era fatto talmente dolce da apparire pericoloso.

Lucio sgranò gli occhi e sottrasse la mano dalla presa della ragazzina. «Ma... non è questa, casa tua?»

«Se tuo padre ripudiasse tua madre e si risposasse e andasse a vivere da un'altra parte e ti costringesse ad andare con lui, quale considereresti casa? Quella di tua madre, rimasta sola e disperata, o quella di tuo padre, che si diverte con la nuova mogliettina?»

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora