21

14 4 0
                                    

Quarto giorno prima delle Calende di febbraio (29 gennaio)

Trascorsero due giorni di relativa calma. La neve continuava a scendere a fiocchi durante la notte, ricoprendo ogni cosa e trasformando Roma in un paesaggio quasi bucolico. Le riunioni in Senato si erano interrotte - a quanto pareva, non c'erano questioni abbastanza importanti da convincere i padri coscritti a portare i loro deretani fuori di casa - e Ottaviano stesso trascorreva più tempo in famiglia, coccolando la figlia di giorno e la moglie di notte. Nel pomeriggio andava in visita alla sorella, soprattutto per vedere Marcello. Quando Livia, una sera, lo affrontò in proposito, Ottaviano ammise che il nipote gli sembrava il candidato ideale per sposare sua figlia e diventare l'erede dei suoi grandi piani imperiali. Livia gli suggerì di comunicarlo a Giulia, che era abbastanza grande per essere messa al corrente del suo futuro, e anche a Scribonia. Gli aveva raccontato della discussione - litigio? - occorso nel suo cenaculum. Gli aveva detto che l'aveva trovata molto più polemica e battagliare del suo solito, ma forse questo era dovuto anche al fatto che il cavallo su cui aveva puntato tutto il suo avvenire si era rivelato un ronzino. Il suo amante non avrebbe fatto di lei la ricca regina orientale che sognava di diventare, e la scoperta l'aveva inacidita.

Livia evitò di tornare nella domus Papiria ma si tenne informata su ciò che accadeva tra le sue mura. Il galoppino Tezio si era ripreso dalle ferite e dalle contusioni ed era tornato pienamente operativo insieme al suo conterraneo. Le due spie avevano ripreso la loro posizione dinanzi all'arpia che difendeva la domus, mentre il secondo galoppino, Noxos, era rimasto all'Atrium Vestae, affiancato da un altro schiavo.

Intanto, Roma veniva perlustrata giorno e notte alla ricerca del senatore scomparso. Per due giorni non ci furono notizie.

Poi sorse l'alba del terzo giorno.

Livia e Ottaviano furono buttati giù dal letto dalle voci concitate degli schiavi. Dopo essersi sommariamente vestiti, uscirono dal cubiculum, solo per scoprire che Cervo era ricomparso.

Quando apprese i dettagli del suo ritrovamento, Livia si irrigidì, scambiò un'occhiata con Ottaviano e poi convocò Asclepiade, cui ordinò di prepararsi a esaminare un altro cadavere.

Il corpo di Cervo fu portato nel palazzo su una tavola di legno, coperto da un mantello che qualcuno gli aveva gettato sopra. Livia fece subito un passo avanti per vederlo, ma Ottaviano le posò una mano sulla spalla, scuotendo la testa.

«Che c'è?» reagì Livia, che la scoperta aveva attizzato come un carbone ardente. «Credi che non possa sopportare la vista di un cadavere? Non è il primo.»

«Non è una cosa di cui vantarsi. Non voglio che ti sconvolga.»

«Non sarà certo quello a sconvolgermi» ribatté Livia, affiancando Asclepiade, che aveva rimosso il mantello. Ottaviano, suo malgrado ugualmente affascinato dal macabro spettacolo, la raggiunse.

Cervo era stato ritrovato in un'insenatura del Tevere, faccia in giù nel fango. La toga era intrisa d'acqua e sangue, fuoriuscito dalle molteplici ferite che gli fiorivano qua e là sul petto. Ma quella più profonda era alla gola. Cervo era stato sgozzato.

«È stato attaccato frontalmente e pugnalato più volte, tutte le volte in modo non fatale» spiegò Asclepiade, mostrando loro le ferite, una sul pettorale destro, una sul fianco sinistro, l'ultima sulla spalla destra. «Poi gli si sono messi alle spalle e gli hanno tagliato la gola.» Asclepiade fece vedere loro come, secondo lui, doveva essere avvenuta l'aggressione.

Livia studiò la ricostruzione, rimuginando. Ma, in realtà, un solo pensiero le si gonfiava nella testa.

Volete farmi ammettere che sarei felice se qualcuno gli tagliasse la gola?

La voce di Papiria sbatteva contro il suo cranio, insistente come una falena che colpisce il vetro di una lanterna.

Ottaviano stava dando ordine di portare la notizia ai Papiri e di dare una ripulita al corpo, prima di presentarlo ai parenti.

Livia ammirò la sua prontezza. In quel momento si sentiva incapace di reagire, incapace di pensare.

Decise che avrebbe scortato il senatore Cervo fino alla sua domus e, una volta lì, avrebbe parlato faccia a faccia con Papiria.

Due ore dopo, era pronta ad andare. Salì su una portantina e lentamente si avviò verso il Velabro, gli schiavi che scortavano la salma del senatore davanti a lei.

Una volta arrivata alla domus, la trovò silenziosa. Gli schiavi avevano un'aria spaventata, insicura. Persino i molossi sembravano più mogi del solito, sdraiati qui e là sul pavimento con i musi sulle zampe. Cosso e Fabia l'accolsero alla porta, lui con volto di pietra, lei con occhi tristi. Teneva in braccio la bambina, stretta, come se volesse proteggerla dai mali di quel mondo.

«Dov'è Papiria?» domandò Livia.

«Ancora nella sua stanza. Non si è mossa di lì per giorni» rispose Fabia.

Livia marciò verso il cubiculum della matrona, spalancò la porta e avanzò nella stanza. Non si sorprese nel trovarla vuota.

«Non c'è» disse ai due coniugi che l'avevano seguita.

Iniziarono a cercarla in tutta la casa ma smisero quando uno schiavo timidamente disse di averla vista uscire qualche ora prima. Aveva approfittato della confusione generata dalla notizia di quell'ultimo decesso per sgattaiolare fuori dalla domus, coperta da una palla che le nascondeva capelli e volto.

Livia stava finendo di ascoltare il resoconto della sospettata principale di quegli omicidi, quando una figura biancovestita apparve dinanzi a loro, solenne come una dea.

«Se cercate mia sorella, fosse posso aiutarvi» esordì Aureliana.

Si girarono tutti verso di lei. Certamente sapeva come fare un'entrata ad effetto.

«È appena stata da me, all'Atrium Vestae. Mi ha chiesto asilo e protezione.» I suoi occhi verdi incrociarono quelli di Livia. «Ha ammesso tutto. Ha confessato di aver ucciso i nostri genitori e suo marito. Ovviamente ho cacciato la sua anima impura dal sacro suolo della dea e sono corsa subito qui ad avvisarvi. Papiria è in fuga.»

Le sue parole penetrarono nel cervello dei presenti. Persino Cosso sembrava sbalordito, mentre Fabia aveva aggrottato la fronte e non sembrava credere alla cognata.

«Va fermata» decretò Livia, con determinazione. «Farò piantonare le porte della città.»

«Potrebbe essere già troppo tardi» replicò Aureliana.

«Non se ci muoviamo in fretta. Manderò degli uomini nella vostra proprietà ad Anzio.»

«Sarebbe sciocca a rifugiarsi lì» osservò Cosso, che pareva tornare pian piano alla realtà e accettare ciò che sua sorella aveva appena affermato.

«È stata una sciocca anche a confessare a me i suoi crimini» ribatté Aureliana. «Papiria è impazzita, non ragiona più. È pericolosa.»

Un altro silenzio si stese su di loro, rotto infine da Cosso, che fissò Livia con qualcosa di molto simile a una crescente ansia. «Cosa le farete, se la troverete?»

Livia inspirò a fondo dalle narici. «Se è vero quello che dice la vestale Aureliana, Papiria ha ucciso tre cittadini romani. Dev'essere fermata a tutti i costi.» E scandì, gelida: «Chi attenta alla sicurezza della nostra Urbe, subirà la giusta ira di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto.»

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora