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Terzo giorno prima delle Calende di febbraio (30 gennaio)

Questa volta, furono i soldati di Ottaviano a muoversi. Tutte le porte della città vennero piantonate da milites autorizzati a trarre immediatamente in arresto la kyria Papiria. Ogni drappello di soldati fu raggiunto da uno schiavo della domus, l'unico in grado di riconoscere la donna che, a differenza del marito senatore, non era un volto noto. Le ricerche furono estese a tutti i quartieri della città e furono affissi manifesti a ogni muro, promettendo una ricompensa generosa a chi avesse dato informazioni sulla matrona in fuga. Altri soldati furono inviati ad Anzio, nella villa suburbana dei Papiri, di cui la donna era la sola ad avere le chiavi e dove avevano cercato invano anche il senatore Cervo.

Se l'uomo era stato ritrovato grazie a un mero colpo di fortuna, ora la difficoltà era maggiore. Non si trovavano più a dover cercare un cadavere, ma dovevano recuperare una donna in fuga. Una donna spaventata, disperata e capace di uccidere.

Il giorno dopo la notizia e l'inizio delle ricerche, Livia tornò alla domus dei Papiri, portando con sé un drappello di schiavi. Il senatore Cosso era assente, anche lui impegnato a cercare la sorella, dunque Livia si rivolse all'unica padrona di casa presente.

«Cara Fabia, con il vostro permesso, vorrei che i miei schiavi esaminassero le carte relative alle vostre proprietà nel Lazio e al di fuori. So che possedete una villa ad Anzio e alcuni soldati stanno cercando vostra cognata anche lì, ma magari ci sono altre proprietà di vostro suocero in cui avrebbe potuto rifugiarsi.»

«Ma certo, andate pure nel tablinum e fate con comodo.» Fabia guidò gli schiavi imperiali fino allo studio del paterfamilias, quindi tornò da Livia. «Posso offrirvi un calice di mulsum? Per combattere questo gelo.»

«Lo accetto volentieri.» Livia la seguì nel triclinio, dove dopo qualche istante furono raggiunte da una schiava che recava un'anfora di vino caldo misto a miele. Livia e Fabia iniziarono a sorseggiarlo, in pensieroso silenzio. Quindi Livia chiese: «Cosa pensate di questa storia?»

«Non riesco a crederci» rispose Fabia, sincera.

«Lo dite per dire o...»

Fabia stritolava il calice tra le dita esili, il volto già riscaldato dal vino. «Papiria non mi è mai sembrata il tipo da... E poi l'avete sentita anche voi, l'altro giorno. Ha detto che non avrebbe mai ucciso suo marito. E non vedo perché avrebbe dovuto uccidere i suoi genitori.»

«Forse ci manca ancora una tessera del mosaico» ragionò Livia, mettendosi comoda sul triclinio. «Se non abbiamo i moventi, possiamo però ragionare sulle possibilità. Papiria avrebbe potuto avvelenare Aureliana poco prima che partisse per il mio banchetto. E avevo già accettato l'idea che a uccidere il senatore Cosso fosse stata una donna, perché non ha fatto mostra di difendersi. E di certo non avrebbe mai pensato che la sua stessa figlia potesse rappresentare una minaccia per lui. Papiria lo avrebbe pugnalato al cuore dopo aver avvelenato la prostituta, costringendola ad assentarsi. Quanto al marito, potrebbe averlo seguito fino a casa di Scribonia, aver scoperto che aveva un'amante e averlo ucciso in un raptus di collera.»

Era la prima volta che Fabia sentiva parlare di quella faccenda. C'era anche lei quando il piccolo Emilio aveva ipotizzato che il padre potesse essersi nascosto dalla sua amante, ma non aveva idea che questa fosse la seconda moglie di Ottaviano Augusto. La sua bocca si aprì a formare una piccola O di sorpresa, ma non la interruppe e Livia proseguì: «In effetti, le ferite sul corpo del senatore sono compatibili con un attacco di rabbia. È stato prima accoltellato più volte e infine sgozzato. Quindi avrebbe trascinato il suo corpo fino al fiume e lo avrebbe gettato in acqua, lasciando che la corrente lo trascinasse via.» Livia bevve il mulsum e fissò Fabia al di sopra del bordo del calice. «Come vi sembra questa ricostruzione?»

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora