Quattordicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (19 gennaio)
Quasi alla stessa ora del giorno prima, Livia si ritrovò a bussare alla porta di casa Papiria, scrutando con occhio critico il batacchio sagomato ad arpia. Come il giorno prima, venne fatta entrare da un vecchio schiavo curvo, che la guidò fino all'atrium dove il cadavere di Aurelia ancora giaceva esposto, circondato da incensi profumati funzionali ad allontanare l'odore di putrefazione. L'aria fredda che entrava dal compluvium aiutava a conservarlo per i tre giorni necessari a portare a termine i preparativi del funerale.
L'imperatrice venne guidata lungo i larghi corridoi silenziosi fino al tablinum, dove venne fatta accomodare su una panca di legno. Lì attese, le spalle sorvegliate dal fedele Zosimo, fino a quando la porta non si aprì nuovamente.
Ma non fu la persona che si aspettava ad avanzare.
Livia si alzò immediatamente, impettita. «Avevo chiesto di parlare con il paterfamilias.»
«Mi rincresce, nobile kyria, ma mio padre non è in casa» le rispose Papiria, con la massima deferenza. La seguiva un grosso cane dal pelo nero, un filo di bava che gli pendeva dalla bocca, gli occhi scuri e attenti puntati sulla padrona. Uno dei molossi di cui le aveva parlato Aurelia.
«Quando rientrerà?»
«Non mi è dato saperlo. Ha trascorso la notte fuori. E mio fratello è impegnato con i preparativi per il funerale.»
Livia strinse le labbra. «Ho urgenza di parlare con vostro padre.»
«Vi avviseremo non appena rincaserà, eccelsa kyria.»
«È abitudine del senatore Cosso quella di trascorrere le notti lontano da casa?»
«Assolutamente no!» si impermalosì Papiria. Poi arrossì e carezzò il cane sulla testa. Lui rimase fermo, scodinzolando appena, le orecchie dritte. «Ma... la morte di mia madre l'ha colpito davvero nel profondo. Erano molto uniti. Due spiriti affini.»
Livia non aveva intenzione di ascoltare tali smancerie. Con un fruscio dell'abito avanzò verso la porta e l'aprì da sé. «Comunicate a vostro padre che ho urgenza di parlargli. Lo riceverò al Palatino oggi stesso.»
«Certo, nobile kyria.»
Zosimo seguì la padrona lungo i corridoi, col suo pesante passo marziale. Livia gettò appena un'occhiata al corpo di Aurelia, quindi guadagnò l'uscita senza imbattersi in nessun altro membro della famiglia. Una volta fuori dalla domus si avvicinò a due schiavi che l'avevano accompagnata fin lì. Si chiamavano Tallio e Tezio, venivano dalla Gallia e avrebbero potuto essere gemelli per quanto si somigliavano - gli stessi capelli arancioni, gli stessi occhi azzurri, la stessa età, poco più che ventenni - ma a quanto sapeva non erano nemmeno imparentati. Li aveva acquistati perché agili e veloci e li utilizzava come galoppini e, saltuariamente, spie.
I due scattarono sull'attenti come un sol uomo.
«Restate qui e sorvegliate la casa. Non appena il senatore Cosso rientra, uno di voi due corra a riferirmelo. L'altro gli starà alle calcagna.»
I Galli annuirono e corsero a posizionarsi in un punto strategico dal quale osservare l'ingresso principale della domus.
Livia salì sulla portantina e si fece riportare a casa, dove andò direttamente nella stanza dei bambini. Non aveva ancora visitato i figli di Curzia e Balbina da quando aveva deciso di farne degli ostaggi, ma era suo dovere assicurarsi che non gli mancasse nulla.
Entrò nella sala e scoprì che i ragazzini stavano facendo colazione. Quattro schiave erano posizionate ai quattro angoli della stanza e li tenevano d'occhio, pronte a ogni evenienza. All'entrata della padrona, si esibirono in un inchino e poi tornarono nella posa delle cariatidi.
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La morte dell'arpia
Fiction Historique27 a.C. Ottaviano è stato appena nominato dal senato imperatore di Roma. Livia decide di invitare a un banchetto tutte le matrone più in vista della città, per sondare l'opinione dei loro mariti senatori al riguardo. Aurelia è la moglie del senatore...