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Quattordicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (19 gennaio)

Quella notte, due uomini bussarono alla porta de "L'antro di Venere". Il primo era alto e dinoccolato, aveva lucidi riccioli ramati, un sorriso abbagliante e indossava una pelliccia costosa per ripararsi dall'aria gelida e dall'umidità. Il secondo era un po' più basso, anch'egli coperto da una pelliccia e con il cappuccio ben calato sulla fronte.

La porta si aprì immediatamente, investendoli di luce e calore. «Chi siete?» domandò rude la tenutaria del lupanare.

Iullo Antonio si portò una mano al cuore, fingendosi sconvolto. «Mia bellissima ninfa dei boschi, non mi riconosci?»

«E come potrei, dato che sono mesi che non ti fai vivo?» replicò burbera Purpurea, ma con una scintilla negli occhi. L'adulazione funzionava sempre, anche sulle dirette discendenti di Scilla e Cariddi. Una manona si abbatté sulla spalla di Iullo, schiantandolo contro la porta. «Sei cresciuto ancora, per il membro di Priapo! Ti sei allungato anche là sotto, eh?» La manona gli diede una strizzata in mezzo alle gambe, facendo sobbalzare il ragazzo e costringendolo a sottrarsi alla presa, per non rischiare di dover rinunciare per sempre a quelle sue visitine notturne.

«Suvvia, Purpurea...» ridacchiò e ansimò allo stesso tempo.

«Chiedo solo, non vorrei mai dover svendere una delle mie ragazze perché l'hai bucata parte per parte.» Finalmente Purpurea parve registrare la presenza di una sagoma alle spalle del suo affezionato cliente. «Chi c'è lì con te?»

«Ho portato un amico. È la prima volta che... assaggia le vostre primizie, ed è un po' timido.»

Purpurea scrutò diffidente la maschera d'oro che copriva i lineamenti del nuovo arrivato. Poi grugnì una risata. «Vedremo quanto sarà timido dopo che le mie ragazze avranno iniziato con lui.»

Finalmente li fece entrare nel calore soffocante del bordello. Sulla destra si apriva una saletta nella quale svariate ragazze - di un'età compresa tra i dodici e i venticinque anni - si aggiravano seminude, ridacchiando e chiacchierando con i primi clienti, che sedevano su dei divanetti bevendo vino e carezzando natiche e seni ogniqualvolta se li trovavano a portata di mano. Le pareti erano decorate con riquadri e ghirlande stilizzate su fondo bianco, illuminate da funalia di forma fallica. Il fallo, in verità, era il re di quel posto. Era ovunque: scolpito sulle pareti, plasmato sulle piante in vaso, penzolante dai soffitti. Persino i calici dai quali i clienti bevevano erano a forma di organo sessuale maschile.

Sulla saletta si aprivano cinque cellae meretriciae, seminascoste da tende rozze e strappate in più punti, oltre le quali si potevano vedere piccoli lettini in muratura e pareti bianche rovinate dai graffiti. Sull'architrave erano affrescate scene erotiche che fungevano da catalogo della prestazione della lupa che occupava quella cella.

Purpurea affiancò il cliente mascherato e fece un largo gesto col braccio, come un sovrano che mostra le primizie del suo regno: «Scegli quella che preferisci.»

La maschera si voltò verso Iullo, che si affrettò a dire: «Il mio amico sa già chi scegliere. Ha sentito parlare delle grazie di una certa Elena e vorrebbe scoprire se rispondono a verità o se la sua è una fama esagerata.»

«Elena è più snella di un giunco egiziano, ma con tutte le curve al posto giusto. E sa fare certi giochetti con la lingua... Insomma, non è una lupa come le altre.»

Iullo estrasse un sacchetto tintinnante da sotto la pelliccia, sorridendo. «Purpurea, lo sai che i soldi non sono un problema.»

Purpurea lo afferrò, lo soppeso e mostrò tutti i suoi denti marci e storti in un sorriso di apprezzamento. Quindi gridò, per sovrastare il chiasso di clienti e lupae: «Elena! Accompagna di sopra il kyrie

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora