Quindicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (18 gennaio)
Era stata una notte molto lunga, che Livia aveva trascorso insonne senza nemmeno toccare il guanciale.
Avvertito dallo schiavo, Ottaviano aveva fatto ritorno al Palatino. La prima cosa che aveva fatto era stata prendere la moglie tra le braccia ed esaminarla da capo a piedi, per assicurarsi che fosse sana e salva. Poi aveva preteso di conoscere i dettagli del dramma che si era consumato sotto il suo stesso tetto. Quando aveva compreso che qualcuno aveva tentato di avvelenare sua moglie, le guance pallide gli si erano tinte di rosa, gli occhi - grigi o azzurri a seconda della luce che li colpiva - avevano iniziato a sfolgorare, le belle labbra si erano serrate e tutto il suo corpo si era irrigidito, come per prepararsi ad assorbire al meglio l'impatto di quell'orribile rivelazione.
Livia aveva cercato di rassicurarlo, ribadendo che non aveva nemmeno assaggiato il Cecubo, che la sventurata Aurelia aveva pagato cara la sua golosità ma che il suo sacrificio l'aveva anche salvata. Per quanto sgradevole, orripilante e volgare fosse quell'arpia, le doveva la vita. Perciò, aveva concluso, l'indomani si sarebbe presentata a casa della donna per porgere le sue condoglianze e i suoi più sinceri rispetti alla famiglia. Ottaviano aveva replicato che in tal caso l'avrebbe accompagnata, ma Livia gli aveva dolcemente ricordato che aveva un'importante riunione in Senato e che non avrebbe potuto assentarsi senza che i padri coscritti iniziassero a mormorare. In fondo non era accaduto nulla. La ghiotta matrona aveva sventato la trappola che qualcuno le aveva teso.
C'erano volute molto più che le parole per rassicurare il marito sconvolto e infuriato. Livia lo aveva abbracciato e tenuto stretto fino a quando non si era tranquillizzato. Allora Ottaviano le aveva mormorato all'orecchio, con una voce che veniva dritta dal cuore e che raramente usava: «Non so cosa farei se ti perdessi. Roma potrebbe bruciare fin sopra ai sette colli e a me non importerebbe.» Livia, il cuore stretto, lo aveva baciato.
E così erano rimasti, allacciati e insonni, fino all'alba, quando si erano sforzati di consumare un rapido ientaculum. Dopodiché Ottaviano si era immerso nel calidarium per togliersi di dosso i resti del banchetto e la sporcizia raccolta lungo il tragitto tra l'Esquilino e il Palatino, aveva indossato la toga e, dopo un ultimo bacio sulla fronte alla moglie, era partito per la curia.
Livia invece aveva indossato un abito scuro e aveva lasciato i capelli sciolti ma in ordine e coperti dalla palla, prima di dirigersi verso la dimora di Aurelia.
La donna abitava nel Velabro, la grande area pianeggiante ai piedi del Palatino. L'ingresso affacciava sul vicus Tuscus ed era segnalato da due colonne con ricchi capitelli corinzi e un architrave in marmo sapientemente lavorato. La porta, in legno massiccio e borchiato, aveva un battente di bronzo raffigurante un'arpia, il mostro mitologico con volto di donna e corpo di uccello, spaventosa e letale.
Il pedisequus di Livia lo afferrò per bussare. Ad aprire giunse un vecchio schiavo, grigio di capelli e di pelle.
«L'imperatrice Livia Drusilla per i padroni di casa» annunciò il pedisequus con voce stentorea.
Il vecchio sgranò gli occhi e si fece immediatamente da parte, permettendo a Livia di entrare, seguita dal pedisequus e da Zosimo, senza il quale non andava mai da nessuna parte. Ottaviano aveva cercato di convincerla a portare con sé più guardie, ma Livia aveva replicato che sarebbero stati con lei anche i lecticarii, imponenti ragazzoni dalla Mauretania, con la pelle scura, fitti ricci lanosi e occhi nerissimi. Si sentiva abbastanza sicura da fare a meno di soldati armati di tutto punto, che avrebbero solamente attirato l'attenzione su di lei.
Oltrepassato lo stretto vestibulum, Livia si ritrovò nell'atrium illuminato dalla luce lattiginosa che entrava dall'apertura sul soffitto e ricadeva nell'impluvium, la vasca addetta alla raccolta dell'acqua piovana posta al centro della stanza, dove pareva essersi riunita tutta la famiglia di Aurelia. Facevano cerchio intorno a qualcosa che Livia non riusciva a scorgere e parlavano tutti insieme con una voce bassa che riecheggiava contro le pareti di pietra.
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La morte dell'arpia
Ficción histórica27 a.C. Ottaviano è stato appena nominato dal senato imperatore di Roma. Livia decide di invitare a un banchetto tutte le matrone più in vista della città, per sondare l'opinione dei loro mariti senatori al riguardo. Aurelia è la moglie del senatore...