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Tredicesimo giorno prima delle Calende di febbraio (20 gennaio)

Una volta tanto, Livia non si spazientì per il ritardo. Rannicchiata nella portantina, avviluppata in coperte e pesanti pellicce per tenersi al caldo, occupò il tempo riflettendo e congetturando. Così, quando Iullo la raggiunse baldanzoso e allegro più di un'ora dopo, lei aveva già messo al loro posto le varie tessere del mosaico e aveva un'idea più chiara di ciò che stava accadendo.

«Allora, imperatrice, avete trovato quello che cercavate?» le chiese il ragazzo, tenendo rispettosamente lontano da lei il puzzo umido del lupanare.

«Ben oltre le mie speranze» fu la risposta di Livia, che riuscì anche a indirizzargli un sorriso. In fondo, era solo merito di quel giovane se era riuscita a entrare ne "L'antro di Venere", a oltrepassare il temibile cane da guardia impersonato da quel donnone con la parrucca viola e a parlare con Elena.

"Ho un'idea, ma non credo vi piacerà" le aveva detto Iullo la sera prima. "In quel bordello non sono ammesse le donne. Penso sia una questione di superstizione. Dunque, l'imperatrice Livia Drusilla non potrà mai entrare lì dentro."

"Se portassi tutte le mie guardie del corpo, scommetto che entrerei, e anche velocemente" aveva ribattuto lei, punta sul vivo.

"Se c'è una cosa che i miei studi mi hanno insegnato, è che l'intimidazione può molto, ma l'inganno di più." Iullo le aveva rivolto un sorrisino e messo con rispetto una mano sulla schiena, guidandola fuori dalla biblioteca e fino al suo cubiculum. Lì aveva tuffato braccia e testa dentro un'arca straripante di abiti e aveva iniziato a estrarre tuniche, toghe e mantelli. Ne aveva ordinatamente stesi sul letto alcuni, mettendosi poi le mani sui fianchi. "Sapete indossarli?"

"Se mi stai chiedendo se mi sono mai vestita da uomo, prima, allora la risposta è: naturalmente no."

"Allora avrete bisogno di aiuto. Le mie ancelle sono fidatissime. Alla peggio ridacchieranno alle vostre spalle per un po', ma sono indispensabili per il nostro piano."

"Che devi ancora esporre."

"È semplice."

E semplice era davvero. Livia si sarebbe vestita da uomo, sarebbero sgusciati fuori dalla domus allo scoccare della seconda vigilia senza farsi vedere da nessuno, avrebbero preso una portantina e sarebbero tornati nella Suburra, dove Iullo l'avrebbe presentata a Purpurea come un suo amico.

Livia aveva ascoltato attentamente, obiettando alla fine: "Mi riconoscerà appena mi vedrà in volto."

Iullo aveva estratto come per magia dall'arca una splendida maschera d'oro. "Allora sarà meglio nasconderlo." Gliel'aveva mostrata e Livia se l'era rigirata tra le mani. "Me l'hanno regalata i miei amici per la mia prima visita a un bordello. Pensavano che celare la mia identità mi avrebbe infuso più coraggio."

"E ti serviva?" aveva chiesto Livia, un po' sprezzante. Il motivo per cui aveva deciso di rivolgersi proprio a Iullo Antonio per il suo piano era stata la reputazione di donnaiolo che aveva in città. Iullo era un giovane piacente e focoso, intelligente e galante. Un miscuglio perfetto per far impazzire le fanciulle di buona famiglia. Ma, dato che quelle gallinelle gli erano proibite, a meno di non voler suscitare uno scandalo, Livia era certa che sfogasse altrove la fiamma che gli bruciava nei lombi.

La risposta che le aveva dato Iullo non era stata quella che si aspettava. Il suo sorriso si era fatto flebile e il giovane si era seduto sul torus. "Tutti i ragazzi tremano un po' davanti alla loro prima donna. Temono di fare una figuraccia e che poi la lupa lo andrà a raccontare a tutti, rovinandogli per sempre la reputazione."

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora