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Sesto giorno prima delle Calende di febbraio (27 gennaio)

Si rivestì e andò nell'atrium, dove la sua ospite l'attendeva. «Cos'ha fatto questa volta vostro marito?» le chiese, dopo un allegro saluto.

Ma Fabia non sembrava avere alcuna voglia di scherzare. Si torceva le mani ed era molto pallida. «Non si tratta di lui. Mio cognato è sparito. È uscito ieri pomeriggio e non è più rientrato.»

Una svolta nelle indagini, dunque, pensò Livia, facendosi subito seria. «È mai successo prima?»

«Sì, per questo abbiamo mandato degli schiavi a cercarlo nei posti che è solito frequentare la sera, ma data la situazione...»

«Volete che vi aiuti nelle ricerche perché pensate che possa essergli capitato qualcosa?» chiarì Livia.

Fabia annuì. «Magari è solo ubriaco da qualche parte, ma...»

«Cosa dice Papiria?»

«È molto preoccupata e tesa. Questa mattina girava per casa, incapace di star ferma. Ora si è chiusa nel suo cubiculum. Non vuole vedere nessuno, a meno che non rechi notizie di Cervo.»

Livia stava per ordinare agli schiavi di prepararle la portantina, ma poi ricordò la discussione avuta con Cosso. Per qualche motivo, non se la sentiva di rompere la promessa che gli aveva fatto. «Vi aiuterei volentieri, Fabia, ma ho promesso a vostro marito che non sarei più entrata nella vostra casa.»

«È stato lui a mandarmi» la sorprese la giovane. «Ora è in Senato, altrimenti sarebbe venuto di persona.»

Livia sollevò un sopracciglio, ma disse: «Allora andiamo.» Batté le mani, attirando subito l'attenzione degli schiavi più vicini. Ordinò la portantina e un paio di pellicce, quindi si mise in viaggio, salendo nella lettiga di Fabia mentre la propria, vuota, li seguiva. Durante il tragitto fino al Velabro, Livia si fece raccontare nei minimi dettagli ciò che era accaduto.

Il giorno prima, Cervo e Papiria avevano litigato per il testamento. Papiria, che da quando lo aveva letto non aveva più rivolto parola né sguardo al marito, tanto era incollerita, non era più riuscita a trattenersi. Gli aveva rimproverato i suoi vizi, che avevano portato suo padre a escluderla dall'eredità. Cervo non era rimasto zitto ma aveva reagito sbraitando. Era ubriaco e ci era andato giù pesante con gli insulti. Stavano anche per arrivare alle mani, ma Cosso li aveva separati. Era stato anche grazie a quella discussione, nella quale Cosso aveva rivisto se stesso e Fabia, che il senatore aveva deciso di scusarsi con la moglie.

Dopo quel litigio, Cervo era uscito. Non era rientrato per cena, né per la notte. Quella mattina non lo avevano visto e ora iniziavano a essere tutti preoccupati. Dopo pranzo avevano inviato una squadra di schiavi alla sua ricerca, ma Roma era grande e non sapevano nemmeno se avesse lasciato la città. Non aveva altre proprietà nel suburbio; i Papiri possedevano una villa ad Anzio, nella quale soggiornavano durante i focosi mesi estivi, ma era Papiria ad avere le chiavi e non le erano state sottratte.

Cosso l'aveva autorizzata a chiedere l'aiuto di Livia, nel caso non ci fossero state novità, per questo Fabia era corsa a bussare alla sua porta.

Una volta giunte alla domus, Fabia chiese subito a uno schiavo: «Dov'è la domina Papiria?»

«Nel suo cubiculum, domina

Fabia fece strada a Livia. «Per di qua.» Percorsero i gelidi corridoi fino a quando non arrivarono dinanzi a una porta di legno. Fabia bussò. «Papiria? C'è l'imperatrice, vuole vederti.»

Un istante di silenzio, e poi una voce soffocata: «Avanti.»

Fabia aprì la porta e fece entrare l'imperatrice, seguendola dentro la stanza.

La morte dell'arpiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora