Capitolo 25.

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"Ehi, no, ti prego, non piangere. Ti va di parlarne?"
Prese le mie mani, stringendole fra le sue. "Amelie, vorrei proteggerti da tutto il male del mondo, ma ho bisogno di capire cos'è per te il male, parlami ti prego."
Piansi ancora più forte, la sua dolcezza e la sua proposta di aiuto mi fecero abbandonare alle mie emozioni, non poteva fare niente, nè lui, nè altre mille persone, solo io potevo, ma io non sapevo aiutarmi.

Il ricordo di mio padre non era sempre e solo associato a momenti infelici, perché prima del casino, eravamo una bella famiglia anche noi, ma dopo quel brutto periodo con le varie conseguenze, io divenni un'altra persona.
Era bello sentirsi amata, ed era ancora più bello non sentirsi colpevole, colpevole di qualcosa che ancora non era accaduto. L'inconsapevolezza e l'innocenza di una bambina non dovrebbero esserle strappate via così.
Ricordo che ogni giorno mio padre portava me e Mika a scuola, ogni mattina in macchina mi raccontava un episodio diverso della sua gioventù, ma sopratutto raccontava di come lui e altri suoi colleghi riuscirono a compiere con successo delle missioni caritatevoli per i bambini meno fortunati in Africa. Era quello il mio papà, il mio eroe, fino a quando qualcosa in lui non cambiò, o meglio, fino a quando qualcuno non lo fece cambiare. Che poi, era inutile dare la colpa agli altri, se lui non avesse voluto, se lui avesse tenuto alla nostra famiglia, niente sarebbe cambiato.

"Simo, che cosa sta succedendo? Perchè sei diventato così aggressivo? Dov'è finito l'uomo altruista e tranquillo che ho conosciuto anni fa?"
Mia madre cercava sempre di parlargli con calma, ma lui era irriconoscibile, aveva perso il lavoro, era diventato violento e tornava sempre la notte tardi, pretendendo soldi da mia madre.
"Carla, chiudi quella cazzo di bocca, mi hai rovinato, sei una brutta troia. Dove sono i soldi? Dammi i soldi perché ti ammazzo. Troia."
"No, lascia stare i soldi, quelli servono per i nostri figli, non ti permettere neanche a pensare di prenderli, abbiamo fatto tanti sacrifici per metterli da parte."
E via con pugni e calci.
Io e mio fratello purtroppo sentivamo tutto dalla nostra camera, quando finiva con mia madre, cercava di menare anche noi. E la maggior parte delle volte ci riusciva.
Mia madre una notte decise di uscire e di seguirlo, e noi andammo insieme a lei. Vidimo mio padre imboccare una strada di campagna che dava su una grande villa abbandonata, ci fermammo un pò prima.
Scesimo a piedi nascondendoci dietro alberi e cespugli fino a quando riuscimmo ad avvicinarci abbastanza per guardare da una delle finestre.
Quello che vidimo fu sconcertante, ricordo che mia madre mi tappo gli occhi, ma nonostante tutto riuscii a liberarmi e capii lo stesso lo scenario che si stava svolgendo a pochi metri da noi. C'erano uomini incappucciati e coperti da lunghe tonache nere, luci rosse e candele accese a terra che  formavano un cerchio al centro della stanza, crocifissi appesi al contrario e teste di animali inchiodate alle pareti. Vidi entrare mio padre con la testa china, uno di quegli uomini lo avvicinò e lo porto al centro delle candele dandogli un macete in mano, lui si inginocchiò e rimase immobile per qualche secondo. Sentii mia madre singhiozzare, mio fratello gli mise una mano davanti la bocca per tappare il suo pianto. Dopo pochi secondi un uomo si avvicinò a mio padre ed iniziò a recitare una catilena in una lingua strana, dopo un attimo mio padre prese il macete ed iniziò a tagliuzzarsi  il braccio formando un disegno indistinguibile per via del sangue, anch'io iniziai a piangere, mio fratello prese me e mia madre e ci strattonò per tirarci via.
Ricordo che da quel momento la mia vita divenne un inferno.
Iniziai a subire violenze da mio padre, prima fisiche e poi anche sessuali. Diceva che la colpa era nostra, che se non avesse avuto noi da mantenere, avrebbe avuto i soldi per fare ciò che gli piaceva. Ad esempio entrare a far parte di un orrenda setta. Quegli uomini trattavano con il satanismo e facevano sacrifici animali e forse anche umani.

"Io non posso, non voglio parlarne. Per favore, non chiedermelo più."

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