Hai paura

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Quattro giorni dopo.
11 ottobre

Un solo nastro di luce fredda traspariva dalla finestra e tagliava la camera in due, nel silenzio si udiva solo il leggero e lento fruscio dei miei polpastrelli sui palmi secchi.
Me ne stavo fiacca, seduta sul bordo del letto a fissare il nulla più totale. Mi pizzicai per confermare che fosse il mio corpo e non un involucro fittizio; non ero più certa di conoscerlo, non ero certa di poterlo controllare.
Ero confusa, arrabbiata.
Mi sentiva tradita. 
Da me stessa.
In un impeto senza alcuna ragione apparente mi trasformai, poi scattai in piedi e mi diressi in bagno, strinsi la spugna arida sul lavandino e la iniziai a strofinare con sempre più insistenza contro il polso sinistro, sul tatuaggio della rosa, quasi come se in quel modo la pelle si sarebbe deteriorata in trucioli per mostrare uno strato nuovo. Grattai talmente forte che sull'irritazione si formarono graffi rossi e sottili, ma si andarono immediatamente a rimarginare prima che i miei occhi potessero ammirarne la forma.
Misi da parte la spugna ormai completamente bruciata, e cominciai a scorticarmi con le unghie, ma subito dopo che la pelle si rigonfiava e si infiammava, essa tornava del suo tono, il tatuaggio era intatto come se io non mi fossi mai graffiata, senza dare dimostrazione del mio potere cangiante.
Ero determinata a far riemergere quell' orripilante ombra nera; quando abbattei quel mostro non lo associai a nulla di quello che avevo vissuto, ma da quel giorno per le ultime notti avevo sognato quelle linee luminescenti, come se quella mattinata non fosse stata la prima volta che il mio corpo cambiava.
Non sapevo a chi chiedere aiuto per capire cosa mi stava succedendo, Ace era in missione assieme agli altri ragazzi, se li era portati tutti con sè, anche Law!
Malik era come se non ci fosse, faceva vai e vieni e se provavo a parlargli mi diceva di aspettare, e con mio fratello non c'era dialogo da quando avevamo litigato.
L'unica a cui potevo chiedere aiuto era Cassandra, ma non mi andava: perchè, da quando avevo lasciato il castello un mese fa, più volte ero andata a trovarla per allenarmi con risultati al quanto strani, c'erano volte che Enea mi dileguava con frasi del tipo: è impegnata.
Cosa la impegnasse tanto era per me un mistero dato che era un fottutissimo fantasma!
Altre che mi allenava nonostante non le andasse e ciò era molto strano!
Era stata lei stessa a dirmi di venirla a trovare per gli allenamenti, non poteva poi all'improvviso cambiare idea!
E poi, soprattutto in questo caso, mi vergognavo a chiederle aiuto: ero la sua discendente e se già si era incazzata con me perchè non riuscivo a gestire il mio fuoco figuriamoci se le andavo a dire che ultimamente il potere che mi accomunava a lei mi stava facendo brutti scherzi.
No, non ne avevo il coraggio.
E tutto quello mi stava facendo impazzire senza riuscire ad uscirne, era un incubo già vissuto dove per me vie d'uscita non ve ne erano; quelle dannatissime linee continuavano ad apparire nella mia mente anche da sveglia, accompagnati da sussurri confusi in una lingua sconosciuta, antica.
Ed era strano, tutto era dannatamente strano.
Non aveva senso!
Forse dovevo scavare più a fondo.
Aprì le ante dell'armadietto, impugnai la forbicina per unghie e me la conficcai nel palmo, strizzai gli occhi e strillai per il dolore ma imperterrita continuai; il metallo si fece spazio nella carne, dal centro del palmo scendendo verso il polso, formò un solco impreciso tra le linee della vita.
Ero impazzita del tutto.
Stavo di nuovo cadendo in quello stato di autodistruzione e non m'importava nulla di ciò che Kiby mi urlasse nella testa, ne ero sorda.
Fissai con occhi vitrei ed indifferenti il sangue emergere dai capillari, sgorgò lento seguendo la scia della prima goccia vermiglia che sporcò la ceramica candida del lavabo.
Una. Due. Tre. Quattro. Cinque. E sei gocce ne uscirono, la settima fu la più titubante.
Aprì la mano, le unghie che prima erano curate da un gel nero erano sporche di sangue e si ergevano su dita rigide e un polso tremante.
Il flusso si era arrestato in tempi da record, come di consueto.
Che cosa diavolo mi stava succedendo?
Gettai l'arma minuta sul fondo del lavandino, con un gesto nervoso di resa, portando d'impulso le mani tra i capelli tirandoli.

La strega e il chirurgoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora