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Quella sera tornai a casa per le 20:30 con i piedi gonfi e coperti di vesciche doloranti. Il mio monolocale minuscolo non mi era mai sembrato così accogliente. Calciai via le sneakers piene di terra rossa e mi fiondai sul divano letto, sfinita e pronta a crollare in un sonno profondo. I brontolii del mio stomaco mi ricordarono che dovevo cenare. Il pomeriggio al Foro era stato tremendo. Avevo dovuto eseguire due lunghissime sedute di fisioterapia, per poi scorrazzare su e giù per i campi a trasportare borsoni, secchi di palline e asciugamano. Insomma, rivestivo qualunque ruolo dello staff del torneo.

Decisi di schiaffare una pizza surgelata in forno, mentre l'acqua calda della doccia scioglieva le mie tensioni muscolari. Mi sentii improvvisamente meglio, anche se la mia testa non smetteva di pulsare. Sarebbero state due lunghe settimane, stracolme di fatica fisica e stress mentale a cui non ero minimamente preparata. Dopo essermi asciugata al volo e aver avvolto i capelli in un asciugamano, optai per il pigiama. Mangiai la mia pizza sul divano, mentre con una mano scrollavo la mia home di Instagram sperando di trovare qualcosa di diverso dalle foto di Jannik.

Volevo staccare la testa, eppure tutto mi riportava a quel sorriso buffo e alla sua chioma indomabile. Dal giorno seguente avrei cercato di limitare ogni tipo di contatto e conversazione per difendermi su due fronti: quello lavorativo e quello emotivo. Ero cresciuta troppo in fretta, costretta ad affrontare gli abbandoni prematuramente. Mio padre mi aveva lasciata che ero appena una bambina, i primi anni veniva a trovarmi e mi portava con sè, ma dai miei quattordici anni ho dovuto rinunciare a qualunque tipo di rapporto con lui. Dovevo accettare il fatto che si era costruito un nuovo futuro e una nuova famiglia.

Da quel momento imparai a non affezionarmi, mi abituai alla presenza incostante delle persone. Le mie prime relazioni mi confermarono che nulla durava per sempre, che le parole possono illudere e creare false illusioni. Nè in amore, nè in amicizia, permettevo a me stessa di affezionarsi per timore di dover dire addio alle persone. Jannik era una delle tante figure che avrebbero transitato per qualche secondo nella mia vita, come stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Avrei distolto lo sguardo e lui sarebbe stato già altrove, ma questo presupponeva che ci fosse un qualunque tipo di rapporto tra noi. Ciò non doveva accadere.

Lavorare, sudare, conquistare. Questo era ciò che ripetevo a me stessa ogni singolo giorno, dimenticandomi però di godermi il viaggio, essendo troppo focalizzata sulla meta.

Quella notte sprofondai in un sonno profondo, imperturbabile.
Sentire la sveglia delle 6 interruppe uno strano sogno che sapeva di sudore e terra rossa.

Scappai al Foro e arrivai che erano appena le 7:00. Quel giorno sarebbero iniziati ufficialmente gli eventi sportivi. Si trattava delle prequalificaizoni, nulla di troppo impegnativo, ma dovevo essere presente alla Grand Stand Arena dalle 9 alle 13 a supervisionare la gara. Giocavano nuovi atleti, nomi che non conoscevo, ma ero troppo eccitata per la mia prima partita al Foro. Arrivai e sbloccai il tornello di accesso, mi cambiai velocemente e ritirai il mio amato dispositivo cerca-persone.
Avevo già fatto colazione quindi evitai di fermarmi in qualche bar del Foro.

Non era ancora arrivato nessuno, così mi persi a passeggiare per i campi in preparazione per la fase iniziale del torneo. Non si sarebbe giocato al centrale prima di una settimana, quindi mi sarei risparmiata la folla di tifosi per qualche altro giorno.
Ancora nessun tennista in vista, solo gli addetti alla manutenzione dei campi che irrigavano la terra rossa per mantenerla ben umida e adatta allo svolgimento di partite e allenamenti.

Tornai al padiglione centrale, proprio quando stava per sbloccare i tornelli una persona che aveva ormai preso residenza nella mia testa. Appena mi vide mi salutò con la mano, sfoggiando il suo classico sorriso spontaneo. Ricambiai, evitando qualunque tipo di conversazione. Per fortuna svoltò verso i bagni e io rigai dritto verso la  zona relax per un caffè rapido. La mattinata passò velocemente, tra un match e l'altro aiutavo i fisioterapisti come potevo. Il sole alto, l'aria di Maggio e la brezza leggera erano stati capaci di distrarmi dai problemi, focalizzandomi solo sulla mia unica priorità. Nonostante i giocatori alle prequalificazioni non fossero grandi nomi del tennis, rimasi stupita per la bellezza dei match a cui avevo assistito.

Drop Shot | Jannik Sinner Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora