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L'autista personale di Jannik ci attendeva sul retro. Avevo appena scoperto che gli atleti avevano un ingresso riservato per evitare fastidi e folle acclamanti i loro nomi. Era comprensibile. Alcuni tifosi non conoscono il rispetto e si dimenticano cosa significa avere una vita privata e una privacy.
-Prego!- mi invitò a salire con un gesto della mano, come un galantuomo.
L'auto era a diro poco spaziosa, con i sedili in pelle invecchiata e un forte odore di vaniglia misto a quello del tabacco. L'autista si girò vero di noi che eravamo seduti sui sedili posteriori. Aveva un aria contrariata, ma Jannik smorzò subito la tensione.

-Lavora qui al Foro. La potremmo accompagnare a casa?-
L'autista con i baffi folti e le sopracciglia aggrottate annuì, ma prima di mettere in moto si soffermò su di me, come a cercare di interpretare le mie intenzioni. Non avevo nessun secondo fine, volevo solo offrirgli una cena che non fosse in un hotel in piena solitudine.
-Pietro non essere sospettoso. E' mia amica. Non ti arrabbi se resto da lei per un po', vero?-
-Quanto tempo è ''un po''?-

L'auto cominciò a costeggiare il Tevere, sfrecciando davanti allo stadio di Roma, diretta verso la mia umile e triste dimora da studentessa fuori sede. Lo stipendio da specializzanda non mi consentiva di prendere in affitto qualcosa di più spazioso e accogliente, quindi mi ero accontentata di quella piccola caverna dove, ormai, vivevo da sei anni. Era modesta, ma mi bastava. L'avevo resa completamente mia, riempiendola di foto, libri thriller e cactus. Seppur minuscola, era pur sempre casa mia.

-Non te la passi male eh. Giri sempre con l'autista?- chiesi riportando l'attenzione su Jannik. Un ricciolo ribelle le calava sulla fronte per poi girare all'insù. Lo trovai dannatamente tenero.

-No, solo durante i tornei. Per il resto, preferisco spassarmela sulla mia bambina- continuò, riferendosi alla sua auto. Era un fanatico dei motori, tutti lo sapevano. Uomini e motori, amori e dolori. Lo diceva sempre mia nonna, ma non so quanto effettivamente ci sia di doloroso a guidare un auto sportiva con il vento tra i capelli e la strada tutta per sè.

Il mio sguardò finì, inesorabilmente, sulle sue labbra. Erano appena socchiuse, mentre il suo sguardo era rivolto verso Roma che,come una modella meravigliosa, sfilava fuori dal finestrino. Le luci che penetravano dal vetro creavano un gioco di riflessi sul suo volto e sui suoi capelli ramati, facendolo apparire più bello che mai. La sua bellezza era semplice, genuina, pulita. Si passò la lingua sul labbro inferiore, per poi mordicchiarlo appena. Riuscivo a percepire ogni suo movimento, anche il più incondizionato, e non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso.

Improvvisamente si voltò nella mia direzione e io feci finta di esser focalizzata su altro. Le mie scarpe non erano mai state così interessanti alla mia vista.

-Non ti imbarazzare, tranquilla-

La sua mano cercò la mia un gesto rapido, ma allo stesso tempo delicato.

L'auto inchiodò infrangendo la magia del momento. Pietro si voltò verso di noi con uno strano sorrisetto sotto ai baffi. Non sembrava più accigliato, tantomeno nervoso.

-Devo tornare o ti aspetto qui?- chiese rivolgendosi a Jannik.
-Mh, ti richiamo?-

Pietro capì che sarebbe andata per le lunghe.
-Se chiedono di te, cosa devo riferire?-
-Che ogni tanto voglio fare qualcosa di diverso da prendere a schiaffi una pallina. Domani sarò Jannik di sempre, pronto a lavorare sodo per ottenere i risultati che tutti noi stiamo sognando da tempo. Grazie per tutto-

Salutai e ringraziai l'autista, chiudendomi lo sportello dell'auto alle spalle. Indicai a Jannik la finestra del mio monolocale, avvertendolo del fatto che, molto probabilmente, il divano non sarebbe bastato per tutti e due.
-Mi metterò su una sedia, tranquilla-

Drop Shot | Jannik Sinner Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora