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Ottavi di Finale Internazionali BNL di Roma

Ricordo ancora fin troppo bene quella mattina. Alle cinque in punto i due tennisti sgattaiolarono via da casa mia, diretti verso le loro stanze lussuose di Hotel. Non riuscii più a prendere sonno e decisi di sistemare un po' casa, farmi una rilassante doccia calda e preparare una bella colazione saziante. Non avrei toccato cibo fino al pomeriggio, molto probabilmente. Jannik e Carlos sembravano tranquilli, non avevano avversari temibili da affrontare.

Dopo essermi lavata e vestita, preparai una torre di pancake e la divorai in pochissimo tempo. Ormai, a causa della frenesia del torneo, avevo sviluppato delle abilità straordinarie come mangiare in cinque minuti un pasto completo o farmi una doccia in meno di un quarto d'ora. I ritmi serrati delle partite si erano letteralmente impossessati di me. Roma, fuori dalla piccola finestra del mio monolocale, era ancora sommersa dall'oscurità, anche se le prime luci dell'alba si intravedevano all'orizzonte. Dentro di me percepivo una strana sensazione, ma non sapevo darle un nome. Ben presto, quel presagio, oltre ad un nome, avrebbe avuto un volto.

Mi incamminai verso la fermata del bus, cercando di scacciare via i pensieri negativi con della musica. I Green Day suonavano nelle mie cuffie, ma io non ci prestavo troppa attenzione. Roma sembrava essersi rallentata e il tempo si era dilatato, lasciandomi intrappolata in una dimensione surreale. Finalmente il bus si fermò a qualche passo da me e mi trasportò verso il tempio del tennis italiano.

Come ogni mattina, incrociai gli addetti alle pulizie e qualche altro membro del personale. Sbloccai il tornello di ingresso e mi diressi verso lo spogliatoio. Sembrava una mattina come le altre, ma dentro di me qualcosa mi stava dicendo di mettermi in allerta. La zona relax era gremita di tennisti, tutti carichi per gli incontri della giornata. Carlos mi salutò con la mano ed io, di risposta, incrociai le dita per lui. Avrebbe giocato alle ore 10 sul campo centrale e speravo davvero potesse accedere alle fasi successive del torneo. Di Jannik nemmeno l'ombra. Non era da lui non presentarsi puntuale agli allenamenti. Questo fatto mi insospettì, ma decisi di focalizzarmi su altro pur di scacciare quel pensiero.

Le chiamate al cerca-persone non tardarono ad arrivare. Medvedev, Zverev, Rune. Scorrazzavo tra i campi di allenamento mentre la folla prendeva posto nei campi principali o cercava di estorcere autografi durante le sedute di allenamento. Tra la folla e le urla, riuscii comunque a intravedere da lontano una scena che, mio malgrado, avrei fatto fatica dimenticare.

Un gruppo di giornalisti stava intervistando Jannik a bordo campo, reduce dal suo primo allenamento della giornata. Dalla sua faccia, compresi che le domande che stavano facendo dovevano essere tutt'altro che piacevoli. Cercai di avvicinarmi il più possibile per cercare di carpire qualche informazione in più. Stavano parlando di favoriti del torneo, punti di forza e debolezza di Jannik e delle sue prospettive future. Dopo qualche minuto, i giornalisti si dileguarono lasciando il povero Jannik da solo, o almeno così pensai.

Il ragazzo si stava dirigendo alla panchina, quando una ragazza dai capelli lunghi e raccolti in una treccia lo seguì. Non avevo mai visto quella ragazza, nè dal vivo, nè sui social. Doveva essere una sua parente, oppure una sua amica. Ricordai a me stessa di non trarre conclusioni affrettate. Infondo, io e Jannik non eravamo altro che qualche bacio e momento condiviso, nonostante per me significasse molto come persona. Decisi di restare a guardare per intuire le dinamiche tra quei due. Jannik se ne stava seduto con una borraccia tra le mani, lei aveva preso posto accanto a lui. La mano di lei sfiorò la coscia di lui, per poi concludere il tutto con un bacio a stampo sulle labbra.

Strabuzzai gli occhi e rimasi pietrificata. Le persone correvano intorno a me, mentre me ne stavo fissa ad osservare le interazioni tra il tennista e la ragazza. Sembravano essere più che amici, i loro gesti e conversazioni erano caratterizzati da una strana naturalezza, tipica di chi ha condiviso molto di più di qualche chiacchiera. Nella mia testa, improvvisamente, il buio. Era forse lei il fantasma che Jannik tanto temeva? Questo, di certo, non potevo saperlo, ma dovevamo immediatamente parlare con lui.

Drop Shot | Jannik Sinner Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora