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Passammo la domenica a baciarci, guardare film, mangiare e vegetare sul divano come se la vita fuori non esistesse. Io e Jannik stavamo bene nella nostra piccola bolla, lontano dagli impegni e dalle aspettative delle persone. Riuscivo a scoprirlo sempre di più, pezzetto dopo pezzetto, arrivando a definire meglio il suo carattere.

Avevo scoperto che odiava parlare in pubblico, che lo faceva il meno possibile, soprattutto perché riteneva noiose le domande, sempre uguali, che gli venivano poste. Avrebbe preferito trattare argomenti più frivoli, oppure più tecnici, senza sempre dover dare spiegazioni sul perché fosse residente a Monaco o su quanto fosse felice nella sua relazione.

Ormai, potevo definirmi la ragazza di Jannik Sinner, il più promettente tennista del firmamento italiano del tennis, la speranza tricolore di uno sport ancora fin troppo poco amato ed apprezzato. Peccato che, ancora, pensare al il mio nome accanto al suo mi faceva arrossire, imbarazzare, ma anche sentirmi non all'altezza. Cosa avevo di tanto speciale? Non ero neppure un medico completo, ancora il futuro sembrava lontano da me, mentre Jannik aveva ben chiaro gli obiettivi centrali della sua carriera.

A volte, a causa della distanza e delle differenze, temevo di poter essere di troppo per lui, come uno spiacevole inconveniente nelle sue giornate programmate fino all'ultimo decimo di secondo. Eppure, in quel momento, vedere la sua cascata di riccioli rossi che mi sfiorava la spalla sinistra mi rincuorava.

Stavamo guardando l'ultima puntata di una miniserie che avevamo iniziato la sera prima, sdraiati comodamente sul divano, con il capo di Jannik posato su di me. Il naso all'insù e le labbra socchiuse disegnavano un profilo che sembrava esser frutto di una qualche strana divinità paradisiaca, come se Dio, mentre era intento a creare il sole, si fosse lasciato scappare un timido raggio, che era poi ricaduto su di lui.

-Che fai...-

Jannik si era accorto dei miei occhi puntati su di sè, anziché sul suo moderno televisore da settanta pollici.

-Nulla...non posso guardarti?-

Le mie guance arrossirono, potevo percepirlo con chiarezza.

-Puoi tutte le volte che vuoi, lo sai-

Le sue labbra cercarono il mio collo, come un preludio di ciò che sarebbe successo dopo. In quei giorni, non eravamo riusciti a metter freno alla voglia di prenderci, amarci e poi ricominciare daccapo. Fare l'amore con lui mi inebriava ed ero consapevole del fatto che mi sarebbe tremendamente mancato una volta tornata in Italia.

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Il mio volo era previsto per le 10:30, ma gli schermi del terminal annunciavano una ventina di minuti di ritardo. Io ed i miei bagagli stavamo combattendo contro un caldo afoso che si stava abbattendo su tutta l'Europa. Avevo lasciato Jannik davanti al Country Club, con un lungo bacio durante il quale trattenere le lacrime era stato davvero arduo. Separarsi dalla persona che più vogliamo accanto a sè è sempre un'esperienza dolorosa e poco piacevole.

Il mio telefono interruppe la carrellata di ricordi degli ultimi giorni con Jannik che, la mia mente, stava riproducendo, come se fosse un trailer di una serie tv.

Il nome che vidi sullo schermo era quello della persona che avrei dovuto richiamare il giorno precedente.

-Carlitos! Come procede?-

Mi aspettavo la sua solita allegria, quel suo accento sgangherato e qualche rumore di sottofondo fastidioso, ma non fu così. Carlos era serio.

-Sei partita?-

Non mi sarei mai aspettata quel tipo di domanda, piuttosto pensavo a qualche consiglio medico o ad un banale "quando ci rivediamo?". Era decisamente tutto molto, troppo strano.

Drop Shot | Jannik Sinner Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora